Sta facendo molto discutere un’intervista rilasciata a SkyNews dall’attivista transgender Charlie Evans, in cui ha affermato – senza alcun supporto statistico – che centinaia di persone transessuali nel Regno Unito si siano pentite di aver cambiato sesso.
Lo scorso anno, Charlie ha annunciato in un discorso pubblico la decisione di voler intraprendere una detransizione, vale a dire il percorso che le ha consentito di riappropriarsi del proprio sesso biologico dopo che aveva effettuato una transizione FtoM. L’attivista sostiene che, da quel momento, molte persone l’avrebbero contattata perché si sono riconosciute nella sua situazione, per lo più persone omosessuali che avevano effettuato la transizione dal sesso femminile a quello maschile, a volte affette da autismo.
Charlie racconta di essere stata avvicinata da una persona transgender che definisce «una donna con la barba», la quale le ha confidato di essere evitata dalla comunità LGBT perché «è considerata una traditrice». Sicuramente questo non riflette lo spirito dell’intera comunità, l’attivista sbaglia a generalizzare, ma il fatto che qualcuno possa aver discriminato una persona che abbia capito che la transizione non faceva al caso suo, ci porta a una più profonda riflessione.
Senza azzardare a un paragone tra quello che avviene nel Regno Unito e in Italia, la questione che Charlie mette al centro del dibattito della transessualità è molto complessa: «La transizione è sempre il rimedio giusto alla disforia di genere?». Questione ancora più delicata se si tratta di bambini o di adolescenti: da una parte c’è la necessità di bloccare lo sviluppo puberale prima che emergano i tratti che canonicamente caratterizzano il genere che la persona non sente suo, dall’altra ci possono essere degli errori di valutazione del caso specifico, che potrebbero portare la persona a pentirsi di aver avviato o concluso quel percorso.
«Per tutti coloro che hanno disforia di genere – spiega un’altra persona nella stessa situazione di Charlie – siano essi trans o no, voglio che ci siano più opzioni, perché penso che attualmente ci sia un sistema che ti dice: “OK, ecco i tuoi ormoni, ecco il tuo intervento chirurgico, vai via”. Questo non è utile per nessuno».
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Personalmente penso che non ci sia stata una consapevolezza reale a monte, tanto meno il supporto di un bravo professionista. Per il resto non generalizzi lei “l attivista”, ci sono tantissime persone che rivivono attraverso un percorso di cambio di genere…. Felicissimi e senza alcun ripensamento.