Nelle ultime ore è esploso un caso a seguito della decisione, da parte del direttore del carcere Due Palazzi di Padova, di sistemare nella stessa cella una coppia di ragazzi omosessuali.
«I due detenuti in questione come qualsiasi altra persona dichiaratamente omosessuale, per motivi di sicurezza noi li mettiamo in un reparto protetto. Perché non sono bene accetti dal resto dei detenuti», ha spiegato Claudio Mazzeo direttore della casa di reclusione. I due ragazzi, infatti, una volta tradotti nel carcere hanno firmato una dichiarazione nella quale esprimevano la loro intenzione di sposarsi e per ragioni di sicurezza sono stati trasferiti.
Questa decisione, però, ha suscitato le lamentele del Sindacato di Polizia Penitenziaria (SPP). «Non è questo il modo di affrontare il problema dell’affettività in carcere» ha scritto Aldo Di Giacomo, segretario generale del sindacato, lamentando una eccesiva permissività che andrebbe, di fatto, ad agevolare la nascita di “camere dell’amore” in carcere.
Una situazione insostenibile questa agli occhi del sindacato che lamenta di non veder rispettata la regolamentazione standard per il mantenimento dei rapporti affettivi, che consiste in permessi premio, per i detenuti più meritevoli, da trascorrere in famiglia o con il proprio coniuge. Non tenendo conto, però, della condizione dei detenuti non coniugati.
La questione è delicata perché se da una parte è giusto che ogni detenuto abbia lo stesso trattamento, dall’altra c’è la drammatica realtà della discriminazione degli omosessuali nelle carceri. Basti pensare al recente fatto di cronaca del detenuto violentato e picchiato dal compagno di cella omofobo. È, dunque, più importante la parità di trattamento o l’incolumità dei detenuti LGBT?
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