I muxe di Oaxaca come i femminielli napoletani, esempi d’integrazione di persone non binary

Mentre a Napoli viene dedicato un murales (purtroppo già vandalizzato) a Tarantina Taran, l’ultima dei femminielli partenopei, nello Stato di Oaxaca, nel Messico meridionale, un terzo genere viene riconosciuto dalla società con il nome di Muxe (muʃeʔ). Siamo di fronte a due storici esempi virtuosi di integrazione di chi non si identifica all’interno del binarismo di genere.

Mentre i femminielli rappresentano un’eredità culturale della Magna Grecia, le prime tracce dei Muxe  risalgono invece alla civiltà precolombiana degli Zapotechi. Come spiega l’antropologa Beverly Chiñas: «L’idea di scegliere il sesso o l’orientamento sessuale è ridicola quanto suggerire che uno possa scegliere il proprio colore della pelle». I Muxe, pertanto, fossero essi vestidas (individui con attributi maschili che indossano abiti femminili) o pintadas (Muxe che usano trucco) erano visti – così come i femminielli nostrani – come un dono dal cielo, visto che gli dei avevano stabilito, nella loro lungimiranza, il genere dell’individuo.

Il considerare una benedizione avere in famiglia una persona di genere non binario è tuttora presente nei villaggi più piccoli; al contrario, nelle grandi città, che hanno subito l’influenza cattolica e quindi un’occidentalizzazione maggiore, potrebbero essere vittime di discriminazione, soprattutto da parte degli uomini.

I Muxe non sono tutti “omosessuali”, alcuni di loro si sposano con donne e hanno anche figli, questo perché sono totalmente al di fuori dal binarismo a cui siamo abituati. Essi sono visti come esseri aventi corpi fisici da uomini, ma con un’estetica e delle competenze sociali del tutto diverse da quelle prettamente maschili. Sono pochi, inoltre, quelli che ricorrono alla transizione MtoF, proprio perché essendo il loro genere riconosciuto e rispettato dalla società non avvertono la necessità di cambiarlo, riducendo così di molto la percentuale di casi di disforia di genere.

Esiste una città, Juchitàn, in cui si celebra dagli anni ’70 ogni tipo di Muxe in una festa, La Vela, con concorsi di bellezza, musica e danze. Sì, perché non c’è un solo tipo di Muxe. Alcuni nascono Muxe, altri scoprono col tempo di esserlo, alcuni hanno la barba, altri sono truccati. Ed è bello così. Ogni giorno è un “Pride”, perché, qualunque sia la sua identità di genere o orientamento sessuale, ognuno sa che la società in cui vive è pronto ad accoglierlo senza timori. E se ci è riuscita una società precolombiana centinaia di anni fa, penso che sia ora che il civilissimo mondo moderno faccia un passo avanti.

 

Immagine copertina di Culture Trip

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