Dive di Sanremo: grandi sul palco ma non in materia di diritti LGBT

Artiste che prima sono diventate delle icone gay per poi deludere i propri fan: tutti gli scivoloni delle dive di Sanremo 

In un precedente articolo abbiamo parlato delle dive che con le loro dichiarazioni si sono dimostrate vicine al mondo LGBT. Oggi narriamo invece la storia sanremese di artiste che si sono dimostrate delle grandi sul palco dell’Ariston, ma meno al di fuori, poiché si sono lasciate andare direttamente o indirettamente a dichiarazioni che hanno deluso le aspettative di tanti fan omosessuali.

 

Rettore

La stravagante cantante di Castelfranco Veneto dalla vena artistica trasgressiva e graffiante, anticonformista per natura e non per comodità, all’attivo ha “soltanto” 4 partecipazioni alla kermesse Ligure; i suoi successi più grandi degli anni 80 (Kobra, Lamette, Donatella) non sono stati lanciati dal festival.

Debutta a Sanremo nel 1974 con il brano Capelli sciolti, eliminata prima della finale, e fa subito parlare di sé per le sue dichiarazioni, si dice infatti “discendente di un doge veneziano” e dichiara di detestare Mina e di esserne superiore a livello artistico.

Torna al Festival tre anni dopo, nel 1977, anche in questo caso eliminata prima della finale. In gara con il brano Oh! Carmela (storia ambientata durante la guerra civile spagnola) e vestita con un maglione e una calzamaglia, getta caramelle al pubblico come la protagonista del brano che porta in concorso.

Nel 1986 partecipa nuovamente alla manifestazione canora, spinta dalla casa discografica, ottenendo un tredicesimo posto con l’intensa ballad Amore stella, canzone che mette in mostra le sue doti interpretative ma da lei poco amata. Questa volta si presenta sul palco vestita di bianco e con due grandi ali d’angelo e polemizza con la sua rivale Marcella Bella affermando: «Qui di primedonne ce n’è una sola e sono io». Ritorna sul palco dell’Ariston per l’ultima volta nel 1994 con Di notte specialmente, brano sensuale e viscerale che la fa ottenere buon riscontro di pubblico e critica.

Rettore e i fan “checche” (quelli degli altri)

Singolare è la posizione di Rettore verso il mondo LGBT, emersa durante un suo intervento nel programma Scalo 76 del 2008, condotto da Francesco Fachinetti. Qui, scontrandosi con Pierluigi Diaco, lo apostrofa con il termine “culattone”, ma non è tutto. La cantante veneta fa una netta distinzione tra gli omosessuali che lei definisce “checche”, a suo modo di vedere tendenti al chiacchiericcio, e “gay”, ovvero “quelli che prima di essere gay sono uomini”. Neanche a dirlo, in questi ultimi indentifica la maggioranza dei suoi fan omosessuali. La sua uscita mette in evidenza una chiara omofobia interiorizzata che, da una che ha “tanti fan gay”, avremmo fatto volentieri a meno.

Ornella Vanoni

La sofisticata ed elegante interprete dalla voce di velluto partecipa al Festival di Sanremo per 8 volte, ottenendo sempre grande riscontro soprattutto da parte della critica. In gara per la prima volta nel 1965, dopo aver vinto l’anno precedente il Festival di Napoli in coppia con Domenico Modugno. Alla prima partecipazione alla kermesse ligure, ottiene subito la medaglia d’argento con il brano Abbracciami forte, nonostante un’interpretazione un po’ sottotono rispetto alle aspettative.

Torna al Festival anche nei successivi 3 anni. Si aggiudica il sesto posto nel 1966 abbinata ad Orietta Berti con Io ti darò di più, brano di cui Ornella avrebbe preferito essere l’unica interprete, ma che sarà ricordato poi soprattutto per la versione di Orietta. Si posiziona al quarto posto nel 1967 con la celeberrima La musica è finita, brano melodico che parla dell’incontro ad una festa fra due ex innamorati con lui che capisce di non avere più speranze, interpretato con la solita classe inconfondibile. Un ottimo secondo posto arriva nel 1968 con Casa bianca, un motivo definito come “il ricordo della gioventù”, interpretato nella doppia versione con Marisa Sannia. Torna in gara anche nel 1970: quarto posto e un pettinatura afro alla “Hair” con il brano Eternità, motivo di largo respiro ed ampia prospettiva sonora che figura l’amore come sentimento metafisico.

Si rivede al festival soltanto dopo 19 anni, nel 1989, con la canzone scritta da Gino Paoli e Mauro Pagani Io come farò, brano di qualità ma non facile che la relega al decimo posto. Nel 1999 sale sul palco dell’Ariston per la settima volta, ottenendo il premio alla carriera e il quarto posto in coppia con Enzo Gragnaniello e l’arabeggiante Alberi. In questa occasione polemizza con la giuria di qualità che favorisce la vittoria della collega Anna Oxa con il brano Senza pietà dichiarando: «Se lo scopo di una giuria è premiare prodotti che devono vendere, tanto vale che i componenti siano i presidenti delle case discografiche». L’ultima partecipazione risale allo scorso anno, dove ottiene il quinto posto con Imparare ad amarsi, delicata ballad melodica in duetto con Bungaro e Pacifico.

Ornella Vanoni a Sanremo 2018
Ornella Vanoni e i “gay normali”

Pubblicando un post sul sui profilo Facebook nel 2016 la cantante si premura di dare “alcuni suggerimenti” alle persone dello stesso sesso sul tema dei diritti civili e in merito al Pride: «Conciati così sarà difficile far valere i vostri diritti, già difficili da ottenere» scrive allegando le foto di alcuni manifestanti ad una parata. “È da tempo che vi consiglio di provare a sfilare con giacca e cravatta e di far vedere che siete persone normali, visto che è la normalità che cercate. Quando vi vedo conciati così ritengo che vi auto mortificate e questo mi dà grande dolore”. Queste parole sono state ovviamente molto contestate dai numerosi fan omosessuali della cantante.

 

Mia Martini

La compianta artista calabrese, dalle doti interpretative eccelse, la voce viscerale e l’animo inquieto e ribelle ha sempre ricevuto dal Festival di Sanremo meno di quanto meritasse, partecipando alla kermesse 5 volte.

Debutta al Festival nel 1982 con E non finisce mica il cielo di Ivano Fossati, grande brano emotivamente carico. La cantante dà il meglio di sé durante le prove ma non in gara: nella serata finale di sabato i critici la accusano addirittura di stonare, ma lei spera comunque in un posto sul podio: «Se mi piazzassi terza sarei la donna più felice del mondo» ammette, ma alla fine non riesce a raggiungere il suo obiettivo. I cronisti presenti al Festival assegnano comunque un inedito riconoscimento alla sua canzone, lo stesso premio che oggi porta il suo nome: il premio della critica.

Il ritorno a Sanremo nel 1989 è con Almeno tu nell’universo, scritta da Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio, canzone dalle atmosfere struggenti e disperate che diventerà poi una pietra miliare della sua discografia. La sua esibizione è molto applaudita ma nonostante questo risulta solamente nona in finale, vincendo comunque il premio della critica.

Torna in gara anche l’anno successivo, nel 1990, con La nevicata del ’56, scritta tra gli altri anche da Franco Califano. La canzone, inizialmente destinata a Gabriella Ferri, rievoca lo storico evento metereologico che ha colpito l’Italia e l’Europa appunto nel 1956 e rimembra la felicità dei tempi oramai andati e viene eseguita da Mimì con smisurata grandezza interpretativa. Vince nuovamente il premio della critica.

Nel 1992 si classifica al secondo posto con Gli uomini non cambiano. Il brano, che parla in maniera sprezzante dell’universo maschile, viene ritenuto dalla critica non all’altezza di tanta parte del suo repertorio e a tale considerazione Mimì risponde: «È vero, la mia canzone è semplice, meno raffinata di altre cose che ho cantato, ma siamo a Sanremo no?». L’ultima esibizione di Mia al festival prima della sua scomparsa risale al 1993 nel duetto con la sorella Loredana Bertè in Stiamo come stiamo.

Mimì e gli “squilibri che fanno diventare omosessuali”

Un po’ assurda l’idea che aveva la cantante in merito all’omosessualità. In un programma del 1990, ad una domanda di un’ascoltatrice che chiede la sua opinione in merito all’argomento risponde che secondo lei l’omosessualità è il frutto di una mancanza di equilibrio tra i ruoli del padre e della madre, e quando uno di questi due ruoli viene a mancare porterà poi un bambino, una volta adulto a diventare gay. Sebbene queste siano le ingenue e ignoranti dichiarazioni in un’Italia d’altri tempi, resta un’opinione personale che su un tema così delicato sarebbe stato meglio risparmiarsi.

 

Anna Oxa

I passaggi sanremesi della camaleontica e istrionica (artisticamente parlando) artista pugliese sono sempre stati memorabili grazie ai suoi look costantemente diversi, innovativi, ricercati affascinanti e anticipatori di mode, ma soprattutto grazie al suo incredibile talento vocale e alla costante ricerca musicale che l’ha sempre contraddistinta dalle colleghe.

La Oxa debutta al Festival del 1978 e viene definita dalla critica come “una Milva degli anni 80”, riuscendo ad ottenere subito il secondo posto con quello che diventerà poi uno dei suoi maggiori successi, Un’emozione da poco. Per descrivere la sua immagine (curata da Ivan Cattaneo con giacca, cravatta e trucco marcato) si fa ricorso all’etichetta di punk. A chi le critica che tale immagine è stata studiata a tavolino risponde: «Non è vero e poi Io non ho bisogno di lezioni di canto, cantare è una cosa istintiva e nessuno mi può insegnare come interpretare una canzone». Il brano, dall’arrangiamento colmo di archi, è un piccolo capolavoro grazie anche alla mano ispirata di Ivano Fossati.

Anna Oxa a Sanremo 1984

Si ripresenta al Festival completamente diversa (bionda e con un look decisamente più sobrio) nel 1982 con Io no, motivo dall’arrangiamento rockeggiante scritto da Mario Lavezzi. Due anni più tardi si classifica al settimo posto con Non scendo: in scena con lei due manichini raffigurano due delle sue precedenti immagini sceniche.

La rivediamo in gara anche nei due anni successivi. nel 1985 con A lei, brano scritto da Roberto Vecchioni, si classifica settima e tratta il tema della droga: la “lei” del titolo non è un’altra donna ma la sostanza stupefacente. Fa scalpore la sua sua esibizione in quanto lascia sfilare il mantello rosso che indossa rivelando un abito, anch’esso rosso, che lascia ben poco all’immaginazione. L’anno successivo è quinta con l’iconica È tutto un attimo, canzone dalla difficile esecuzione tecnica che le permette di sfruttare al meglio il suo range vocale. Il brano è una dedica ai fan (“Questa vita siete solo voi… Siete voi… Solo voi”), lei è sul palco una vera e propria venere androgina, con un vestito nero con tanto di cappuccio e ombelico scoperto.

Nel 1988 si ripresenta a Sanremo con un’immagine da femme fatale in Quando nasce un amore, ballad melodica interpretata magistralmente che impressiona la critica ma viene penalizzata sul palco a causa della base musicale troppo alta. Il 1989 è l’anno della prima vittoria: si presenta in coppia con Fausto Leali e sbaraglia la concorrenza con Ti lascerò. L’impatto scenico dell’esibizione sanremese è potente e vede la Oxa entrare in scena quasi a metà del brano, successivamente le voci dei due artisti si sovrappongono passando dai registri più scuri alle tonalità più alte.

Torna a Sanremo anche l’anno successivo con un’immagine molto sobria, sostituendo all’ultimo Patty Pravo, con il brano dalle atmosfere latineggianti Donna con te, e lo presenta nel 1994 in coppia con Pippo Baudo e la soubrette Cannelle. È seconda anche nel 1997 con la ballad pop Storie, mentre vince nuovamente nel 1999 con Senza pietà e un look da guerriera. Le sonorità e le armonie orientali di questo brano si sposano con un ritmo coinvolgente amplificato dalle suggestioni world music del sitar, permettendo ad Anna di spingersi all’estremo con la voce e interpretare  i versi del brano metaforicamente bellici con movimenti plastici e adrenalinici.

Nel 2001 è decima con il brano dai sapori etnici L’eterno movimento: dopo 10 anni torna mora e sbriciola una rosa durante l’esibizione. Due anni dopo è quattordicesima con Cambierò, brano dalle atmosfere minimal interpretato in maniera elegante, quasi un canto implosivo.

Nel 2006 presenta quello che per molti fan è il suo capolavoro assoluto, ma forse poco adatto al contesto sanremese, ovvero Processo a me stessa. Il brano, scritto da Pasquale Panella, è un’opera decadente, che passa dal recitato al registro lirico e spazia da aperture sinfoniche ad atmosfere world. L’immagine affasciante ma nel contempo inquietante adottata dalla Oxa purtroppo non rende l’esibizione accessibile a tutti. L’ultima esperienza sanremese risale al 2011, dove il criptico brano dalla struttura particolare La mia anima d’uomo non riesce a raggiungere la finale.

Gli attacchi omofobi a Non è Grindr

Nel 2011 durante un controrto discorso sul palco del Gay Village, dove era stata chiamata come madrina, Anna Oxa entra a gamba tesa sulle modalità con cui gli omosessuali dovrebbero manifestare. Secondo la cantante sarebbero gli stessi omosessuali a vivere la propria omosessualità come un problema e sbagliano a rivendicare i propri diritti in modo “circense” e “da carnevale di Rio”.

Negli ultimi anni la cantante non ha rilasciato più nessuna dichiarazione in merito. Nessun intervento della cantante neanche quando, qualche mese fa, il suo management ha fatto delle esternazioni a dir poco raccapriccianti tramite la pagina ufficiale Anna Oxa – Oxarte. Tali dichiarazioni ci hanno coinvolto in prima persona: potete trovare tutta la surreale narrazione di quell’episodio, corredata di screenshot, in un nostro precedente articolo.

Fonte: Festival di Sanremo – Almanacco illustrato della canzone italiana di Eddy Anselmi.

Andreas

1 thought on “Dive di Sanremo: grandi sul palco ma non in materia di diritti LGBT

  1. Scusate se commento, ma secondo me questo articolo è cosi superficiale che non sta ne in cielo ne in terra. Come si può paragonare una dichiarazione degli anni 90 col pensiero di oggi? Senza considerare che poi non ha detto nulla di offensivo… ha solo riportato la sua opinione un po’ approssimativa basata su come all’epoca era considerata l’omosessualità, cercando con sensibilità di comprenderne le problematiche. Non si può dare a Dante Alighieri del retrogrado solo perché dava per scontato che la terra era al centro dell’universo… I tempi erano diversi e Dante non era un astronomo, così come Mimì non era una psicologa. E’ stata ingenua nel rispondere ma è chiaro che non voleva dare contro a nessuno, anzi, cercava di capire.

    Ultima cosa… siamo proprio così sicuri, anche noi così aperti e progressissti, di non dare mai opinioni superficiali su argomenti che non conosciamo in maniera approfondita? 😉

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