Alcuni giorni fa, Fabrizio Benetti, presidente dell’associazione LGBT+ vicentina MaiMa, è stato insultato insieme alle persone con cui era in compagnia in un bar di Schio, in provincia di Vicenza. In seguito, l’attivista ha deciso di denunciare l’episodio in un post Facebook.
«”Culattoni”. Questa l’accoglienza di un imbecille al bar la sera scorsa a Schio – scrive Benetti – Ho pensato e ripensato prima di scrivere questo post ma penso sia importante farlo per chiarire che non è normale essere offesi pubblicamente mentre si sta bevendo un drink e chiacchierando tranquillamente con gli amici. Per cosa poi? Perché siamo gay?».
Il presidente di MaiMa si rivolge poi a chi minimizza questi episodi. «Mi sono semplicemente rotto i cog**oni di questa gente – si sfoga – Gridare in mezzo alla gente “culattoni” non è libertà di pensiero ma violenza verbale. Fortunatamente il proprietario del bar e ha buttato fuori dal locale il simpatico signore. Non statevene zitti, devono capire che le parole fanno male».
Ma dopo il danno è arrivata poi la beffa: il post di denuncia è stato censurato, perché contenente degli «elementi omofobi»: “culattoni” è una parola un po’ troppo forte per gli standard del social network. «Dunque…ti offendono al bar perché sei gay e non succede nulla – scrive Benetti – Denunci il fatto pubblicamente utilizzando le parole con cui ti hanno offeso e ti bloccano perché pensano tu sia omofobo. Mi auguro sia un automa a controllare i post, altrimenti è grave perché era scritto in italiano perfetto. Grazie comunque a tutti per il supporto».
Non è la prima volta che Facebook confonda i post di denuncia con quelli offensivi, troppo spesso tollerati. Purtroppo, com’è possibile che accada, questi sistemi automatizzati possono creare delle situazioni paradossali come quella denunciata dall’attivista, che meriterebbero sicuramente un’attenzione differente.
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