Siamo tutti figli di Dio: non è solo uno dei messaggi più importanti del Vangelo, ma anche il nome di un’associazione LGBT+. I fondatori sono due genitori di Mestre che, di fronte a un grave episodio di discriminazione nei confronti di loro figlio, hanno deciso di sostenerlo.
Erano gli anni ’90 quando il giovane Francesco si vide rifiutare la Comunione perché aveva confessato al parroco di essere gay. «Non avemmo dubbi: ci allontanammo dalla Chiesa», dichiara oggi suo padre al Gazzettino. L’uomo racconta il percorso affrontato da quel giorno dalla sua famiglia, che è passato la fondazione di un gruppo di genitori cattolici per l’accettazione dei figli LGBT+, un’idea nata dopo aver conosciuto altre madri e altri padri nella medesima situazione.
Oggi quel gruppo è cresciuto ed è riuscito a raggiungere obiettivi che 20 anni fa potevano sembrare molto ambiziosi, come quello di essere ricevuti dal Papa. «Usiamo il termine omoaffettivi perché questi ragazzi nascono così, con un’affettività diversa e se il Signore li ha creati in questo modo perché dobbiamo discriminarli? – spiega il padre di Francesco – Questi ragazzi non sono sbagliati, anzi, mostrano intelligenza e sensibilità straordinarie e se sono venuti al mondo così, significa che Dio così li ha voluti».
Nonostante Papa Francesco dimostra qualche piccola apertura nei confronti di persone omosessuali e transgender, ancora oggi la Chiesa Cattolica Romana si rende troppo spesso protagonista di episodi di discriminazione, come quello avvenuto pochi giorni fa a Reggio Emilia, dove a una donna è stata negata la possibilità di fare da madrina poiché lesbica. Non a caso, la Conferenza Episcopale Italiania (CEI) e quella Polacca (KEP) sono probabilmente le organizzazioni che hanno speso più energie contro il ddl Zan.
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