Il Club Muxes, una squadra di calcio con una forte identità LGBT+, punta a combattere l’omofobia attraverso lo sport più amato in Messico.
A metà del 2018, Daniel Vidal e Geremía Oleta, entrambi giocatori non professionisti fino ad allora, hanno deciso di creare un club aperto a giocatori gay, trans o queer. La squadra ha preso il nome dai Muxe, una comunità di Oaxaca di genere non binario esistente sin dalla civiltà zapoteca. «Il nome della squadra – spiega Vidal a Verne – è un tributo a una comunità che come noi lotta per un’identità».
A metà settembre, il club dei Muxes ha debuttato con una vittoria nel campionato di terza divisione in Messico in uno stadio vuoto a causa delle disposizioni sanitarie in atto. Ciò non ha impedito, però, che si verificassero comunque episodi discriminatori. «Da quando è nata la squadra abbiamo ricevuto tutti i tipi di commenti omofobi: “femmine, principesse, ragazze” – dice Marco Almaraz, direttore della comunicazione – ma abbiamo imparato a metterli da parte per rispondere con il calcio».
Sebbene per appartenere al club non sia necessario far parte della comunità LGBT+, i giocatori devono seguire gli stessi valori e combattere per la stessa causa, facendo del calcio uno sport senza etichette.
Il Club Muxes contro la mascolinità tossica
«L’obiettivo è raggiungere la seconda divisione in cinque anni o prima, se possibile – afferma Rodrigo Cervantes, direttore sportivo della squadra – Il sogno è riempire uno stadio di prima divisione con i colori della bandiera arcobaleno».
La stessa divisa è una provocazione contro la mascolinità tossica. L’uniforme, infatti, è rosa e lo stemma della squadra è una rosa ricamata accanto a un pallone. Tutto il team riconosce, però, che porre fine al machismo, all’omofobia e al comportamento tossico nello sport non è qualcosa che accadrà presto. «Dobbiamo sensibilizzare i tifosi e la Federcalcio messicana – spiega Cervantes – che i giocatori gay esistono, giocano bene a calcio e che si svilupperanno meglio in spazi di lavoro in cui si sentono a proprio agio».
«Il calcio è la stessa lingua che parliamo tutti – conclude – Non possiamo privare nessuno di praticarlo solo per preferenze individuali. Ecco perché il nostro lavoro è importante».
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