Lo scorso 24 agosto si sono svolti i funerali di Elisa Pomarelli, la 28enne lesbica ammazzata un anno prima da Massimo Sebastiani, quello che reputava un amico, ma che ha deciso di toglierle la vita in seguito al rifiuto delle proprie avances. Nel corso della prima udienza, tenutasi il 4 agosto, l’uomo ha confessato l’omicidio ma ha ottenuto il rito abbreviato, che per quanto previsto dalla legge 33/2019 (codice rosso) – ovvero l’impossibilità di uno sconto della pena – significa che non vi sarà una condanna per femminicidio.
Oggi tredici associazioni per la tutela dei diritti delle donne lesbiche, appoggiate anche da altre associazioni e da singole cittadine e singoli cittadini, hanno pubblicato un comunicato – disponibile in versione integrale sul sito di Arcigay – in cui chiedono giustizia per Elisa Pomarelli, «punita perché rivendicava il suo diritto ad autodeterminarsi, a esprimere la propria identità e a scegliere liberamente le sue relazioni», sottolineando che la sua uccisione «è un femminicidio e un lesbicidio».
«Elisa non è stata uccisa solo in un modo – scrivono le attiviste – Nei giorni successivi al suo femminicidio, i media italiani avevano fatto ipotesi su una possibile relazione tra lei e il suo assassino, parlando di “gigante buono”, “gioco pericoloso”, “amore non corrisposto”. Poi, quando il suo orientamento sessuale è stato reso pubblico, improvvisamente si è detto che la vita personale della vittima doveva essere protetta, che non bisognava supporre, né etichettare Elisa che aveva solo 28 anni e forse avrebbe anche potuto cambiare idea».
Nella nota viene sottolineato che «la deontologia giornalistica prevede di non rivelare dati sensibili, tra cui l’orientamento sessuale, a meno che non siano di fondamentale importanza per poter offrire al pubblico un’informazione», ma «queste regole non vengono rispettate quasi mai […] ma vi si fa appello solo se a dover essere nominato è il lesbismo», avandando una dura critica alle testate che «hanno scelto di cancellare l’identità, la storia e le scelte di Elisa, invisibilizzandola in quanto lesbica, e con lei, noi tutte».
Viene poi affermato che questo terribile omicidio è anche frutto della lesbofobia presente nel nostro Paese. «Ogni giorno sentiamo storie di ragazze e donne aggredite per le strade perché si scambiano un bacio – si legge nel comunicato – Sentiamo parlare di ragazze, anche giovanissime, che vengono allontanate dalle loro famiglie o costrette a sottoporsi a terapie riparative perché considerate malate. Leggiamo di stupri correttivi, inflitti da padri e parenti, alle lesbiche. Questa violenza non è più tollerabile e la denunciamo con forza, perché il silenzio e l’invisibilità non proteggono noi, ma i nostri oppressori». Per questo motivo, le attiviste chiedono che venga approvata una legge che introduca un aggravante per i reati di natura misogina e lesbofobica, come il ddl Zan attualmente in discussione alla Camera, osservando che «La storia di Elisa avrebbe potuto essere quella di ognuna di noi».
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