Suscitano la contrarietà di molti le dichiarazioni che arrivano dalla Conferenza Episcopale Italiana quando si parla di tematiche legate al mondo LGBT+, ma queste possono sembrare persino posizioni progressiste se comparate a quelle della Conferenza Episcopale Polacca (KEP). La Polonia è notoriamente un Paese ultraconservatore: lo sono i cittadini, lo è il partito politico al potere (Diritto e Giustizia) e chiaramente lo è anche la Chiesa.
La Conferenza Episcopale Polacca ha recentemente emesso un documento per esprimere la propria posizione «sulla questione LGBT+» e il quadro che possiamo ricavarne è a dir poco desolante. L’accusa mossa al movimento LGBT è quella di proporre dei piccoli passi in avanti al fine di trasformare la cultura cercando di normalizzare comportamenti «che fino a poco tempo fa sarebbero stati considerati inaccettabili e condannati moralmente».
Alla KEP non sta bene neanche che ci siano «social media che supportano questo progetto, diffondono l’ideologia di genere, danno una luce positiva al divorzio, al tradimento, alla promiscuità sociale, mettono in ridicolo la fedeltà, la verginità, la purezza e la religiosità». Ma a far venire la pelle d’oca è il punto numero 38 del documento: «In seguito alle sfide portate dall’ideologia gender e dai movimenti LGBT è necessario creare dei centri di supporto (anche con l’aiuto della Chiesa e delle sue strutture) per aiutare le persone a ritrovare la loro salute e il loro orientamento sessuale naturale».
Poco importa se la scelta delle terapie riparative «va in contrasto con la posizione ufficiale degli ambienti LGBT+, con alcune posizioni considerate scientifiche e con il cosiddetto politically correct», poiché per la KEP non si possono non considerare le testimonianze di «coloro che a un certo punto hanno capito che il loro orientamento non è una sentenza irrevocabile o qualcosa di irreversibile, ma il sintomo di una ferita da qualche parte nella loro personalità».
Su Facebook arriva la risposta dell’associazione Grupa Stonewall che scrive: «È difficile per noi commentare la mancanza di responsabilità dei vescovi polacchi e ci piacerebbe vivere in un tempo in cui la Chiesa dia credito alla voce degli specialisti, ad esempio i membri della Polskie Towarzystwo Seksuologiczne (Società Polacca di Sessuologia, PTS)».
Intervistato da L’Espresso, nel 2019 il professor Vittorio Lingiardi dichiarava: «Chi parla di omosessualità come condizione ‘modificabile’ per mezzo di un intervento ‘terapeutico’ non ha alcun riconoscimento nella comunità accademica, clinica e scientifica. Volendo fare una battuta, sono un po’ i ‘terrapiattisti’ della psicologia».
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