L’astensione di Forza Italia sul voto in Commissione Giustizia alla Camera non è stata digerita dall’informazione oscurantista che ha sollecitato i berluscones più retrogradi a dare un segnale di vita che non si è fatto attendere: emendamento Costa. L’atteggiamento ambiguo dei forzisti è figlio di gruppi parlamentari formati tanto da giovani deputate sensibili alle rivendicazioni dei diritti, quanto da attempati senatori riottosi a tutto ciò che mette in pericolo il loro modello patriarcale.
Il focus su uno dei principali partiti della Seconda Repubblica di fronte alla legge contro l’omotransfobia deve necessariamente aprirsi all’esterno del Parlamento italiano, laddove si trova il padre padrone Silvio Berlusconi. Molti ricordano la sua partecipazione al Family Day del 2007, contribuendo non poco al successo di partecipazione grazie alle sue numerose famiglie. «Non si può accettare che si creino altri tipi di matrimonio – disse alla stampa in quell’occasione – che sono poi una caricatura». Sono però le campagne elettorali a tirargli fuori il meglio, nella ricerca di polarizzare a sinistra il voto LGBT+ per recuperare l’elettorato cattolico perso con la dissolutezza della propria condotta morale. L’ex cavaliere, a un evento per le comunali di Monza del 2007, rassicurava così i suoi elettori: «Tranquilli, i gay sono tutti dall’altra parte». Ancora, prima delle elezioni politiche del 2013: «Con l’avvento della sinistra non vorremmo assistere all’apertura delle frontiere agli immigrati irregolari e alla proliferazione dei matrimoni gay». Porti chiusi ante litteram.
L’ex Presidente del Consiglio è però in buona compagnia, anzi, è – per distacco – il più moderato fra gli oscurantisti di un partito dove è possibile annoverare diversi cavalli di razza nello zoo della frustrazione. C’è il sangue caldo Maurizio Gasparri, famelico di normalità, impegnato a lanciare il boicottaggio della friendly campagna di IKEA: «Non comprerò più niente da loro! Siccome mi sono rimasti dei fazzoletti in casa, mi ci pulisco il sedere e li rimando usati ai capi dell’azienda. Così forse li mangeranno…». Nel pieno del Rubygate, eccolo intervenire in favore del povero Silvio dopo le polemiche dichiarazioni di Nichi Vendola: «Critica l’altrui bunga bunga che intanto non è niente di male, ma almeno avviene con le donne». Destò compassione quando, nel 1996, il povero Maurizio finì al centro di pettegolezzi infondati per essersi perso in una zona della Capitale notoriamente frequentata da prostitute transgender. Il solo vociare avrebbe compromesso la sua statura da maschio alfa, perciò partirono subito gli annunci di querele. Ingenua.
Sua altezza, lo shire Brunetta, dopo aver proposto i Di.Do.Re. da Ministro (i dimenticabilissimi Diritti e Doveri di Reciprocità dei conviventi), non le mandò a dire in tempi di discussione della legge sulle unioni civili: «Con tutti i problemi che ha l’Italia, è davvero questa la priorità?». Ha tenuto a manifestare la sua contrarietà anche l’avelignese Lucio Malan con un post sul suo seguitissimo sito; lui che rimase alle cronache della scorsa legislatura per i pittoreschi emendamenti alla legge sulle unioni civili, per le quali proponeva la denominazione di “unione renziana”. L’apice, però, lo raggiunse quando scoprì che dei beni confiscati a Cosa Nostra stavano per divenire una Casa arcobaleno gestita da Arcigay Messina per accogliere persone LGBT+ in difficoltà: «Dopo la Mafia arrivano loro», fu il tweet. Lupara glitterata.
In mezzo a cotanta generosità nei confronti della comunità LGBT+, furono accolte con enorme stupore le dichiarazioni con cui Mara Carfagna ruppe il tabù nel 2011. Tuttavia, pochi ricorderanno la sua uscita sulla querelle “bagni in Parlamento” tra la compagna di partito Elisabetta Gardini e Vladimir Luxuria. «Wladimiro Guadagno è un uomo a tutti gli effetti. Il suo travestimento – affermò la giovane Mara – è una cosa che non può riguardare il sesso». Fu comunque la Carfagna a promuovere nel 2016 l’appello interno per il sì alle unioni civili che venne accolto dall’ex Ministra per le Pari Opportunità Stefania Prestigiacomo, dal fedelissimo berlusconiano Elio Vito, dalla pasionaria ex sindacalista di destra Renata Polverini e da Nunzia De Girolamo. Quest’ultima non siede più tra gli scranni parlamentari, occupati ora da new entry come Giusi Bartolozzi, autrice della proposta di legge per le modifiche agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, in materia di violenza o discriminazione per motivi di genere, abbinata alla unitaria proposta avanzata dalla maggioranza. Tra tutte queste donne non compare l’attuale capogruppo a Montecitorio Mariastella Gelmini che, tuttavia, in occasione della giornata internazionale contro l’omotransfobia dello scorso anno, ebbe pubbliche parole di vicinanza alle persone LGBT+ discriminate. Da menzionare anche Laura Ravetto, la quale – pur senza esporsi troppo – votò favorevolmente alla legge sulle unioni civili nella scorsa legislatura. Flebile luce anche tra i traballanti numeri del Senato, dove la capogruppo Anna Maria Bernini, più volte su posizioni rainbow, potrebbe giocare il suo ruolo. Speranza.
Ma come potrebbe mutare il comportamento di Forza Italia se questi voti dovessero risultare decisivi per l’approvazione di una legge che evidenzierebbe l’assenza di una maggioranza a sostegno del governo Conte II?
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