Oggi, primo maggio, è la giornata consacrata ai lavoratori di tutta Italia. Certo, non è come di consueto festeggiata dalla folla di Piazza San Giovanni a Roma e da altri palchi di tutta Italia per via dell’epidemia di Covid-19 in corso, ma è un’occasione per riflettere da casa su quale sia la reale condizione dei lavoratori e delle lavoratrici in Italia. C’è realmente da festeggiare? Vediamo alcune delle condizioni che farebbero intuire il contrario.
La conquista più importante che si festeggia in questa data, comune a molti Paesi nel mondo, è la riduzione della giornata lavorativa a otto ore, iniziata il 1 maggio 1867 in Illinois e, dopo decenni di lotte di operai e sindacati, verrà istituita anche in Italia nel 1923 con il Regio decreto legge n. 692.
Stando ai numeri attuali, siamo ancora lontani da assicurare una tale durata della giornata lavorativa: secondo una ricerca di ADP “Workforce View in Europe” riportata da Bussiness International lo scorso 24 luglio 2019, «il 30% degli italiani lavora tra le 6 e le 10 ore a settimana senza retribuzione», con un 20% invece che dichiara di lavorare 5 o meno ore oltre l’orario di lavoro e un altro 7,3% che dichiara di superare ampiamente queste cifre, arrivando a lavorare dalle 11 alle 15 ore in più alla settimana. E la fascia di età più compromessa è quella tra i 25 e i 34 anni (66%).
Ma il problema che balza di più all’occhio è la disparità salariare: il gap di stipendio fra uomini e donne in Italia è di circa 2700 euro lordi, valore che per Eurostat ci posiziona, per quanto concerne il settore privato, al 17° posto su un totale di 24 Paesi europei per grandezza di Gender Pay Gap.
Ma non solo. Una donna con un ruolo nei board esecutivi guadagna fino al 70% in meno rispetto a un collega uomo, uno dei tanti dati che su 144 paesi nel mondo ci posiziona all’82esimo posto per quanto riguarda la capacità di appianare le differenze di genere.
Le madri lavoratrici sono oltremodo poco tutelate nel nostro ordinamento, condizione che ha portato, dal 2011 al 2017, 165.562 donne a lasciare la propria posizione lavorativa per l’incapacità di far conciliare il lavoro con la vita privata.
Tutto questo, però, pare avere delle radici sociologiche ben radicate: da stamattina gira sui social un sondaggio di Ipsos, pubblicato dal Corriere della Sera, in cui è evidente il consolidato ragionamento patriarcale nella visione di entrambi i sessi. Elemento che fa male a tutti: padri considerati incapaci di curare i figli quanto le madri; donne viste ancora come l’angelo del focolare domestico; madri lavoratrici considerate incapaci di essere madri degne quanto madri casalinghe.
Fintanto che non cambieremo la nostra visione della società, fino ad allora ci sarà poco da festeggiare. Buon Primo Maggio.
Leggi anche:
-
Gli audio omofobi choc del primario e candidato sindaco per il centrodestra: «Tutti nel forno crematorio»
-
Onda Pride: oltre il milione a Roma, resistenza queer anche a Torino, Catania e Bergamo
-
La classifica dei Paesi UE più inclusivi per i professionisti LGBTQ+: tanta strada da fare per l’Italia
-
Inclusività nell’infinito: la NASA lancia una nuova bandiera arcobaleno cosmica
-
Guida pratica all’arte del bottoming