Lo scorso 14 aprile, l’Associazione Spazio Bianco di Perugia ha affisso un manifesto per salutare Alessia, una donna transgender morta alcuni giorni fa nel capoluogo umbro a soli 30 anni per una grave malattia, durata due anni, e ne ha denunciato l’abbandono da parte della sua famiglia.
«Un esempio per la sua forza nel sopportare, perdonare e continuare a sognare – recita il manifesto che è stato fotografato ed è diventato virale su Facebook – Un sentito ringraziamento ed una nota di particolare stima a tutto il personale medico e paramedico della Clinica delle Malattie Infettive, dell’Oncologia e dell’Hospice per le cure palliative che l’hanno accettata, curata ed amata sì da farla sentire a casa».
Da quello che emerge dal racconto dei suoi amici, Alessia, originaria di Pompei, sarebbe stata abbandonata due volte, prima dai suoi genitori natuali e successivamente da quelli adottivi, che non accettavano la natura di loro figlia, che non si identificava nel genere assegnatole alla nascita e aveva intrapreso un percorso di transizione.
In tanti hanno salutato Alessia sui social. «Ho conosciuto questa ragazza in ospedale, alla fine del suo calvario – scrive un’operatrice socio-sanitaria dell’ospedale Silvestrini di Perugia – Una persona forte, dolcissima, di una simpatia unica. Io spero questa foto e questa accusa girino e arrivino ai suoi “familiari”, a quelli che l’hanno abbandonata».
Anche Daniela Lourdes Falanga, presidente di Arcigay Antinoo di Napoli, la ricorda in un post Facebook: «La incontrai la prima volta il 2 febbraio di qualche anno fa da Mamma Schiavona, a far festa e allietarsi di quel corpo che la rendeva donna, della sua bellezza, di quel desiderio che poi la portò ad incontrare me ed Ilario Arena (anch’egli attivista dell’associazione, ndr) prima a Pompei, poi a Napoli, dove mi chiese di accompagnarla nel suo percorso di transizione. Un percorso che la rendeva felice, un indirizzo alla vita come doveva rappresentarla».
Purtroppo, Alessia è stata privata della propria identità, quella per cui tanto aveva lottato, anche da morta. La sua famiglia ha infatti affisso degli altri manifesti, in cui viene indicata come «signor» e chiamata con il suo deadname.
«Sei stata generosa, e adesso ti piango, e piango persino la morte negata in pace, col nome che avevi scelto, per riproporti “corretta”, al maschile, come nulla fosse di te – commenta Daniela – Noi ti ricordiamo come eri realmente. Noi ti siamo vicini. Riposa in pace».
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https://www.facebook.com/daniela.falanga/posts/10220509779885915
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