L’Italia non sta passando tempi felici, per quel che riguarda la tutela della popolazione arcobaleno, si sa. Probabilmente è anche per questo che i programmi americani che ci fanno vedere la libertà da un altro punto di vista, stanno attirando gran parte del pubblico LGBTQI*. Ma cosa succede quando un’icona gay fa uno scivolone e anziché rendere la comunità inclusiva a tutti i generi e orientamenti sessuali, sembra volerne destinare una parte di essa esclusivamente agli individui maschi cisgender?
La scorsa settimana RuPaul – attrice, cantante, modella e, soprattutto, presentatrice di uno dei programmi più seguiti sulle Drag Queen – durante un’intervista al The Guardian, ha sostenuto che il drag è più punk se fatto da uomini, in quanto è la vera reazione ad un sistema maschilista e machista e che perde parte della sua pericolosità e ironia se non è praticato da uomini.
Alla domanda sul perché si è fatto partecipare alla Race Peppermint, la prima concorrente apertamente donna transgender a prendere parte alla competizione (Sonique e Monica, lo hanno rivelato successivamente, infatti e altre, tra cui Carmen Carrera, hanno iniziato successivamente un percorso di transizione), la cara mama Ru, come le piace farsi chiamare, ha candidamente osservato che non avendo ancora un seno quando partecipava alla Race, non aveva veramente iniziato un percorso di transizione.
In tal caso, infatti, sostiene RuPaul, non avrebbe potuto partecipare, in quanto essere una donna, cisgender o transgender, in una competizione per drag queen, sarebbe come essere dopati. Vanno bene quindi le iniezioni di silicone qui e là, labbra gonfie come canotti e glutei impiantati, basta che si abbia ancora un pisello con cui fare tucking e tette rimovibili.
Ovviamente si è alzato un polverone nel web, tra chi lo accusava di poca delicatezza nei confronti delle sue concorrenti che hanno intrapreso un percorso di transizione, chi le ricordava che il drag è libertà, chi tra le vecchie protagoniste della race ha ribadito la propria vicinanza alla comunità trans e chi ha ribadito che un artista dovrebbe essere giudicato dalla sua arte e non dalla propria identità di genere.
Le scuse di RuPaul non si sono fatte aspettare. Conscia di essersi lasciata scappare una cazzata colossale e ricordando di essere stata già tacciata di transfobia a causa dell’espressione “she-mail” dismessa nel 2014, Ru ha twittato un messaggio di scuse alla comunità trans, che vede come eroi della comunità arcobaleno, ribadendo che nel suo show ha sempre cercato “charisma uniqueness nerve and talent” e che questo non cambierà mai.
Peccato che per farlo abbia utilizzato un’opera chiamata Train Landscape anziché della bandiera dell’orgoglio trans. Succede quando si è vecchie e si cerca “trains flag” anziché “trans flag”.
Colgo l’occasione per prendere una posizione in merito, a nome mio e della pagina. Noi di Non è Grindr siamo da sempre sostenitori della libertà, che sia di agire, vestirsi, amare o essere se stessi. Nessuno può decidere cosa sia giusto o sbagliato per noi stessi al di fuori di noi.
Se una donna, un uomo, un o una transgender o una delle mille altre sfumature dell’arcobaleno, pensa che la sua felicità sia in un paio di ciglia finte e nel fare la drag queen, dovrebbe sentirsi libera di farlo come e quando vuole.
Come ho già detto in numerosi commenti, la nostra comunità dovrebbe essere inclusiva, non esclusiva. Ben vengano le sfumature, ben vengano i colori mischiati e pasticciati tra di loro, ben vengano gli scarabocchi fatti col carboncino e le opere d’arte, perché citando RuPaul quando era ancora del tutto in sé “La vita è usare tutta la scatola dei colori”.