L’Egitto nega l’esistenza delle persone LGBT+, ma basta guardare nelle carceri

Nel corso della terza Revisione Periodica Universale (UPR), l’Egitto ha annunciato alle Nazioni Unite il rifiuto delle raccomandazioni che erano state formulate da diversi Paesi riguardo l’arresto di persone LGBT+ e la discriminazione basata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere.

A sorprendere non è certamente questa risposta, ma l’affermazione con la motivazione con cui il Paese nordafricano ha accompagnato il rifiuto: «Non riconosciamo i termini menzionati in questa raccomandazione». In altre parole, l’Egitto afferma di non conoscere cosa siano l’omosessualità e la disforia di genere.

Rasha Younes, ricercatrice libanese presso l’Human Right Watch (HRW), ha dichiarato: «Questa affermazione oltraggiosa dei funzionari egiziani arriva in un momento in cui la crisi sanitaria della COVID-19 sta minacciando gruppi già vulnerabili, comprese le persone LGBT detenute nelle carceri egiziane per motivi di orientamento sessuale e identità di genere».

Sebbene l’omosessualità non è esplicitamente vietata dalla legge egiziana, le persone LGBT+ vengono spesso arrestate per immoralità o indecenza pubblica, con il 69% di esse «prelevate a caso per strada, secondo quanto riportato dall’HRW».

Tra i detenuti egiziani vi è attualmente Patrick Zaki, studente dell’Università di Bologna arrestato e torturato con accuse come quella di aver pubblicato notizie false con l’intento di disturbare la pace sociale e quella di aver incitato proteste contro l’autorità pubblica. Il giornale semi-ufficiale di stato Akhbar el-Yom ha pubblicato un articolo in cui “rivelava” che Zaki sia un attivista LGBT+, al fine di influenzare negativamente l’opinione pubblica, affermando senza giri di parole che «questo fatto scioccante mette a tacere le voci che difendono Patrick e i tentativi di farlo apparire come simbolo degli oppressi».

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