Lady Tata, nel lontano 2005, cantava: «Quando due si lasciano, vivi senza regole, quanti giorni inutili che schiacciano i perché». Ed è proprio vero, quando finisce un rapporto, con esso, vengono meno anche tutte quelle stucchevoli consuetudini che lo regolavano: tutto d’un tratto bisogna dire addio al «buongiorno amore» su WhatsApp, alla chiamata dopo cena in cui si commentavano i fatti della giornata, alla cenetta di anniversario, quella nel solito ristorantino, con il cameriere che sapeva già che pizze avreste ordinato e, soprattutto, come esse dovessero essere impiattate (metà per ciascun gusto, così da assaggiarle entrambe).
Ma, in tutto ciò, nelle more della procedura fallimentare, tra un «vaffa» e l’altro, cosa accade agli amici? Che fine fanno quei poveretti che vi frequentavano come coppia e che ora si ritrovano, all’improvviso, smarriti, impauriti e confusi come Harry Potter durante la terza prova del Torneo Tremaghi? C’è un giudice al quale rivolgersi? Oppure l’ufficio competente è la redazione di Maria De Filippi?
Non essendo possibile indire un televoto, ai malcapitati spettatori della rottura, molto spesso, tocca scegliere: si può, così, provare a restare super partes e frequentare entrambe le parti, evitando con cura di trasmettere informazioni, dati e, soprattutto, cattiverie che di norma gli ex partner confidano agli amici; oppure si può seguire il cuore, e restare vicino al proprio beniamino non degnando l’altro di nulla di più affettuoso di uno stitico «Buon Natale», mandato ad anni alterni ovviamente, giusto per non esagerare con la tenerezza.
A volte, a scegliere, sono proprio i componenti della ex coppia, lasciandosi guidare ora da razionale lucidità, ora da fantasiose ipotesi di complotto degne dei terrapiattisti più navigati; ma quando ciò non accade non è mai semplice, non è mai facile e non è nemmeno divertente comprendere cosa fare per offrire sostegno senza ipocrisia, per regalare sani consigli e non giudizi, per tentare di tirare le somme e stilare un bilancio di quel che è stato, tenendo però conto che si tratta pur sempre di sentimenti, e non del fatturato di una società commerciale.
Di quegli amici che porgono mani e guance in abbondanza dovremmo sempre, in ogni occasione, avere cura, e non per nostro tornaconto o l’aiuto materiale che sono in grado di darci, ma perché anche loro fanno parte della famiglia che ci siamo scelti, di quella ohana che non ha certo bisogno di un vincolo di sangue per poter sopravvivere: a quegli amici, insomma, dovremmo semplicemente dire più spesso, molto più spesso, «Grazie» perché, come disse qualcuno, «nessun uomo è un’isola», ma solo una parte, preziosa ed unica, di un arcipelago la cui vastità dipende solo ed esclusivamente dalla nostra capacità di amare.
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