Marco (nome di fantasia) è un ragazzo transgender di 19 anni e abita in un piccolo comune di 5000 anime in Emilia, sicuramente non il posto migliore dove confrontarsi con persone che vivono una condizione simile alla sua. Ma per fortuna esistono i social network, così il giovane può condividere con altre persone transgender e non il suo entusiasmo per un evento ormai imminente: il prossimo 10 marzo avrà tra le mani la ricetta per il testosterone, con la quale potrà iniziare la terapia ormonale.
Nonostante la giovane età, il percorso di consapevolezza di Marco inizia molto tempo fa, a conferma del fatto che l’identità di genere è radicata nell’individuo sin dai primi anni di vita. «Fin da che ho ricordo sapevo che qualcosa non andava, io sentivo che avrei dovuto nascere maschio, volevo essere considerato maschio – ci confida il ragazzo – A 5 anni sono andato da mia nonna in lacrime e le ho detto “nonna io mi sento maschio” lei ha subito replicato “impossibile, l’ostetrica ha detto che sei femmina”. Da allora non ho più avuto il coraggio di dirlo né a lei né ai miei genitori».
È stata una ricerca su internet ad aiutare Marco, ormai 14enne, a ritrovare la propria identità: «Mi ero stufato di non capire chi fossi e cosa mi stesse succedendo, ho aperto Google e ho scritto “sono femmina ma mi sento maschio”. Il primo risultato è stato “disturbo dell’identità di genere”, in quanto all’epoca non era ancora chiamato “disforia di genere”». Il primo coming out è stato a liceo, dove la sua identità e la sua volontà di essere chiamato al maschile fu accettata dai professori e da buona parte dei compagni.
Non è andata altrettando bene con i genitori: Marco attribuisce la non accettazione di suo padre e sua madre al fatto che siano testimoni di Geova. Per questo, ha lasciato che lo facesse uno psicologo al suo posto: «Durante quella seduta i miei genitori hanno chiesto di parlare da soli con lo psicologo e mi hanno mandato fuori. Lui disse ai miei che se non mi avessero accettato mi avrebbero preso in carico i servizi sociali e, da quello che ho capito, i miei hanno risposto che mi avrebbero accettato. Ma non fu così e non vollero più tornare da quello psicologo. Da quel momento mio padre mi ha trattato peggio di come già mi trattasse».
Data l’ostilità dei genitori, è stato necessario attendere la maggiore età per recarsi a un centro per la disforia di genere. «Il giorno del mio diciottesimo compleanno ho chiamato il MIT (Movimento Identità Trans) di Bologna per prendere appuntamento – racconta Marco – I miei non erano e non sono tuttora d’accordo ma sanno che essendo maggiorenne non possono impedirmi di andarci». Da quel momento qualcosa è iniziato a muoversi: Marco ha ricevuto un certificato da portare a scuola, dove veniva attestato che doveva essere chiamato con il suo nome maschile, sebbene i genitori continuino a riferirsi a lui al femminile e con il nome di battesimo. Lo scorso settembre, ha poi avuto il via libera per la Terapia Ormonale Sostitutiva (TOS), che prevede un percorso con una serie di esami che si concluderanno a breve: il 10 marzo, il giorno dell’appuntamento con l’endocrinologa che, sulla base dei referti, gli consegnerà la ricetta per il testosterone.
L’atteso 10 marzo non sarà tuttavia un traguardo, ma solo l’inizio di un nuovo percorso che metterà Marco di fronte a numerose difficoltà, soprattutto di natura economica. Senza un lavoro e senza l’aiuto dei genitori, il 19enne dovrà trovare un modo per sostenere le spese mediche, ma soprattutto quelle di mobilità: Marco è infatti su una sedie a rotelle per via di una sindrome simile alla fibromialgia. «Non posso andare a Bologna da solo – ci spiega – ho bisogno di essere accompagnato in quanto non ho una sedia a rotelle che mi permetta di essere indipendente, costerebbe 2200€ circa e non ho i soldi per comprarla. Al momento non so bene come muovermi per andare a fare gli ultimi esami, ho amici che mi accompagnano ma devo ancora capire come organizzarmi».
Il 19enne sta cercando un lavoro per far fronte a queste spese. Qualche tempo fa ha dato vita a una raccolta fondi su GoFoundMe per l’acquisto della sedia a rotelle, ma non ha avuto successo. Ci racconta che non saprebbe a quali enti o associazioni rivolgersi per un aiuto concreto, che è dunque una domanda che rivolgiamo ai nostri lettori più informati. Nel frattempo Marco non si lascia scoraggiare da tutte queste difficoltà, anzi ha parole di conforto per chi è in una situazione simile alla sua: «La famiglia biologica non si sceglie, ma la vera famiglia sì. Se la vostra famiglia vi fa stare male e non c’è nulla che potete fare per cambiare le cose, tagliate i ponti. Ci saranno sempre gli amici e quella sarà la vostra vera famiglia».
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