Dopo Grindr: l’incontro che non ti saresti (mai) aspettato

«Non puoi capire con chi sono uscito oggi. Parlavamo da una settimana su Grindr. Era bello, intelligente, a tratti anche ironico, ma…».

Dopo un incontro al “buio”, questa è la tipica frase che ci troviamo, il più delle volte, a dire sotto casa del nostro migliore amico (il sesso sceglietelo voi). Grindr, Planet Romeo e chi più ne ha più ne metta ci hanno aperto un mondo tutto sommato non così male. Ripeto, tutto sommato.

La facilità di incontro ha veicolato così tanto traffico di persone, che molte volte inceppiamo in quei soggetti che se li sentissimo soltanto respirare al bar, molto probabilmente lanceremmo i soldi alla cassiera e ce ne andremmo urlando.

Bando alle ciance, iniziamo con la breve antologia dei casi umani incontrati almeno una volta nella vita.

Ce l’ho più lungo di te. I tipici soggetti che ad un incontro fanno della comunicazione una sorta di balance of power che la guerra fredda può solo accompagnare. Il più delle volte sono studenti di medicina che iniziano a raccontarti la lista degli esami da dare, quanto siano difficili gli esami, ma quanto sia forte la “vokazione” che li ha sempre accompagnati. Tu sei lì, con lo sguardo fisso in punto non definito e con quel caffè che è diventato una granita siciliana. Alla fine dell’incontro, il più delle volte troncato per disperazione o suicidio imminente, per lo meno ti ritrovi una certa cultura sul ciclo vitale di una cellula. Perché è lì che si fermano.

Sai che mi ha lasciato? Il Brad Pitt de’ noantri. Quello che è stato lasciato da una settimana, ma che comunque si ostina a uscire con qualcuno pur di far rosicare l’ex che l’ha mollato (poi tutto questo accade nella loro testa visto che i casi clinici hanno regole tutte loro). Le consuetudini vogliono che sarà il silenzio a regnare, almeno fino a che non passerà la coppietta felice e lui inizierà a lanciare disgrazie, ruminarsi le unghie fino all’osso e iniziare il decalogo della sua sofferenza. Tu, dopo aver conosciuto il medico di Save The Children, ancora non sei pronto psicologicamente per poter affrontare un lutto che, tra l’altro, nemmeno ti riguarda. L’incontro termina per la chiamata “improvvisa” della tua amica che ti annuncia un parto imminente.

It’s Britney, Bitch! Un classicone. Uno cerca di evitare l’incontro con la discotecara inside tentando il vaglio di tutte le alternative possibili: Facebook, Instagram, Twitter, Tumblr e se proprio non siamo soddisfatti, irrompiamo con accessi improvvisati anche su Myspace. Nulla, il nulla più totale. Qualche foto innocua e tanti tanti sfondi di posti (mai) visitati, ma oggettivamente presi da Google. Arriva il giorno dell’incontro, e magari sei pure tranquillo visti i tentavi falliti di trovare anche un solo difetto.
Sei li, che non fai in tempo ad accenderti nemmeno una sigaretta che già senti l’odore del disagio avvicinarsi. Ti giri e intravedi questa Fiat 500 color ceruleo (?) avvicinarsi in modo, tra l’altro, abbastanza prepotente, finestrini abbassati il 22 di Dicembre, occhiali da sole alle 22:30 di sera e un volume dello stereo così alto da fare accennare anche a te mezzo passo. Ti riconosce, si ferma ovviamente in doppia fila (fa tanto Man Down) e ti invita a salire in quella dark room di disagio. Il telefono già pronto per la chiamata di soccorso e tanti rimpianti sul depresso incazzato.

Maschile e insospettabile. Questi sono i miei preferiti. Quasi sempre sono militari con forti ideali di virilità (sicuramente). Prima di iniziare, è doveroso spezzare una lancia a loro favore: sono bravi a mentire. Ti fanno credere così tanto di essere stati concepiti da una molecola di testosterone, che prima di incontrarli hai già cominciato a fantasticare sulla ginnastica pre-parto.
Arriva la fine. Alle 16:30, quindici minuti prima dell’appuntamento, tu sei già in macchina nel luogo scelto (o imposto): un parcheggio abbandonato dietro a un capannone che si trova in un luogo così verde che ti meravigli della fauna nella tua città. Ti giri la sigaretta dell’ansia (quella di sempre), ma ad un tratto la luce cala, l’ansia sale, vedi un sagoma avvicinarsi ed è qui che… Pantalone nero a pois bianco, Converse viola con le scritte sui bordi delle suole e immancabile maglietta nera con su scritto “I came to slay bitch”. Talmente tanto insospettabili che se non ti avessero detto prima di essere gay, come minimo avresti chiamato il Mario Mieli per denunciare un caso di omofobia.

Ti dichiaro marito. Eccoci qui, dove tutti siamo inciampati almeno venticinque volte. Non sto parlando di quelli sposati che cercano un palo su cui piangere la repressione di una vita. Sto parlando di quelli che dopo 5 minuti di appuntamento, già si sentono sposati e con tanto di fede al dito. Sono i peggiori, così assetati, così desiderosi di avere una relazione che arriverebbero a vendersi la madre pur di aver qualcuno accanto.
Ci sta la cotta, il colpo di fulmine, l’imprinting alla Bella Swan, ma non iniziando un discorso con “noi” e “futuro” quando nemmeno ci hanno portato il caffè al tavolo. La gran classe di alzarsi, salutare a debita distanza (sia mai fraintendimenti vari) e salutare urlando «Ciao tesoro, ciao».

Doccia? No, grazie. Due parole in merito, SANTO CIELO. Prima di cadere nella cattiveria, io rispetto ogni tipo di rituale anticonformista, dal cibo alla doccia, ma non in pubblico. A casa tua. Con doppia mandata.
Fortunatamente, è raro di questi tempi trovare soggetti che emanano fragranze di cane bagnato misto a eau de Tevere. Ahimè, è facile incontrare i No Spazzolino. Brutta categoria anche questa, visto che a primo impatto ti fottono sempre. Vestiti decentemente, capello non troppo laccato e magari pure col bel fisico. A primo impatto perfetti.
Arriva l’apocalisse. Ti avvicini, accenni un sorriso da coglione meravigliato, li guardi e arriva la gelata. Noti fin da subito che c’è qualcosa che non va, un intruso nel tuo attimo di gloria. Al bel sorriso, alla voce bassa e rude, si manifesta quel pezzo di Mc Bieta tra i denti che riesce a spegnerti anche il più primitivo degli istinti. Ore e ore di conversazione incentrate a guardare quel pezzo de spinacio che proprio non ne vuole sapere di staccarsi dall’incisivo. Anzi, sventola fiero. Tu sei lì indeciso se fargli notare la presenza dell’inquilino indesiderato o semplicemente tacere e sperare che magari al prossimo incontro sarete soltanto te e lui. Soli, senza intrusi.

Tranquillo, paghi tu. Incontro perfetto. Batteria al 100% e voglia di rivederlo nell’arco di cinque ore ottenuta. Siete al momento del saluto, dopo quel caffè gustato con piacere e quel raccontarsi che non basta mai. La cameriera si avvicina, irrompe nel discorso e con la tonalità di chi non vede l’ora di andarsene, esclama le fatidiche parole: «Sono tre euro e cinquanta». Scatta la prova del nove. Subito il pensiero : «Vai bello, fai il maschio». Attimi di panico, mani che fanno finta di cercare il portafoglio e tu intanto sei li, che da buon saggio, avanzi la proposta di voler pagare. La risposta è immediata: «No dai, mi sei già venuto a prendere, pago io. Hai spicci?».

Qui mi fermo, perchè altrimenti, avrei materiale per scrivere una trilogia.

Avanti il prossimo.

Gianluca Di Maula

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