Ho conosciuto l’onorevole Monica Cirinnà durante un workshop tenutosi all’Università Internazionale di Roma, proprio durante lo svolgimento per l’approvazione del disegno di legge sulle unioni civili. Fin da subito, ho notato i connotati di una donna convinta delle proprie azioni e della battaglia intrapresa.
Il suo discorso, oltre a spiegarci i caratteri meno approfonditi dai media nazionali, ha avuto come principio portante il fatto di voler continuare una battaglia appena iniziata, la volontà di voler gettare le basi per un paese innovativo in tema di diritti egualitari e di libertà della persona.
Ciò che l’onorevole ha voluto sottolineare e che non ha mai nascosto, è che tale lotta (perché di questo stiamo parlando) non finirà con l’approvazione del suddetto provvedimento legislativo, ma c’è il bisogno di un binomio politica/società per poter creare un percorso comune verso la piena democratizzazione del paese.
Quindi, la parola d’ordine è: continuità.
Passato poco più di un anno dall’entrata in vigore del disegno di legge che riconosce dei diritti alle coppie gay e alle coppie di fatto con l’introduzione delle unioni civili e con le convivenze siamo di nuovo di fronte ad un assenteismo di proposte e continuità come promesso dal Partito Democratico.
La legge, per quanto innovativa in un Paese tradizionalista come l’Italia, ha dimenticato due punti fondamentali dell’unione, intesa nel suo significato etimologico: fedeltà e procreazione. Le adozioni tutt’oggi, come durante l’iter legislativo, costituiscono quell’elemento di scontro tra democratici e conservatori.
Il compromesso trovato nelle aule parlamentari fu di abrogare l’emendamento sulla regolamentazione delle adozioni e successivamente quello sulla fedeltà. Motivo di tale convenzione è che avrebbe fin troppo allineato le nozze storicamente intese con un unione frutto di una richiesta popolare e non avallato da chi del matrimonio ne fa un pilastro: la Chiesa.
Le promesse a cui eravamo rimasti da parte dell’opposizione di centrodestra, erano quelle di una battaglia politica senza precedenti che avrebbe trovato il suo apice nella proposta di un referendum abrogativo in merito a questa legge.
A 50 giorni dalle elezioni nazionali e in piena campagna elettorale, l’intesa FI-FDI-Lega Nord non ha ancora presentato alcun programma, specie rispetto alle posizioni assunte in precedenza durante le molteplici manifestazioni organizzate, come il Family Day, sentinelle in piedi o flash-Adinolfi.
Il motivo di tale silenzio è da ricercare nel largo consenso della popolazione a poco più di un anno dall’approvazione della legge, coadiuvato da una continua propaganda mediatica in risposta ai continui pregiudizi (o meglio, luoghi comuni) che altro non rappresentavano dei semplici mantra nutriti da falsi miti popolari.
L’opinione pubblica ha preso consapevolezza che l’amore non prescinde dal genere, che non tutti gli omosessuali sono per forza fashion blogger e che coppie formate da due donne non per forza ambiscono a diventare la Fiona della situazione.
Qualora questa circostanza, ormai parte dell’immaginario collettivo della società, rappresentasse l’occasione per un’eventuale abolizione della legge Cirinnà da parte delle forze di centrodestra, paradossalmente questa decisione avrebbe come conseguenza una rilevante perdita di voti, in funzione del fatto che i molti delusi del Partito Democratico hanno dirottato da tempo la propria intenzione di voto a destra, pur di negare il consenso al Movimento 5 Stelle.
Questa migrazione presenta una delle poche chance che il centrodestra potrebbe sfruttare per arrivare al governo e di certo una linea troppo conservatrice non gioverebbe nel breve periodo. La comunicazione in questo senso gioca un ruolo primario, altrimenti Berlusconi non sarebbe Berlusconi.
Il ruolo più ambiguo giocato in questo campo minato di accordi è costituito dalle stesse forze che hanno approvato il provvedimento sulle unioni civili: il Partito Democratico. Per molti, la legge approvata l’11 maggio 2016 ha mostrato il lato più “a sinistra” del PD, in quanto l’abolizione dell’articolo 18 prima, e il risultato del Referendum Costituzionale fallito poi, hanno contribuito all’illusione della nuova svolta a sinistra promossa, ma disattesa, da Matteo Renzi, che però troverebbe spazio nella nuova e recentemente formazione politica capitanata dal presidente uscente del Senato Piero Grasso, Liberi e Uguali. Il programma elettorale, elencato in pochi punti, si limita a trattare solo una parte delle riforme da revisionare (Jobs Act e Tasse Universitarie).
La delusione, sotto questo punto di vista, è maggiore in quanto la nuova classe anti-renziana e anti-populista, si è presentata nel suo discorso inaugurale con l’affermazione del leader di LeU Grasso: «La nostra sfida è questa: batterci perché tutti siano liberi e uguali».
Ma, a conti fatti, l’unica vera a sfida da portare a termine, non è stata minimamente citata. La coalizione, composta dagli scissionisti del Movimento dei Democratici e Progressisti, di Sinistra Italiana e di Possibile, ha proposto in campagna elettorale un valido programma per quanto concerne lavoro e istruzione, ma per l’ennesima volta la questione dei diritti egualitari è finita nel dimenticatoio.
Un’occasione persa dove, ancora una volta, l’aspettativa non trova riscontro nella realtà. Proprio in questo momento, una ripresa dei vecchi valori che hanno contraddistinto le radici su cui la sinistra ha costruito la sua storia nel corso dei decenni, costituirebbe una forte ripresa dei consensi, ed è qui che la continuità sul percorso promesso dovrebbe indirizzarsi. Ma siamo italiani e la semplicità non c’è mai piaciuta, quindi conviene un po’ a tutti non considerare (per il momento, spero) un secondo step verso l’evoluzione dei diritti.
La morale non esiste in campagna elettorale, figuriamoci rischiare battaglie facilmente ricattabili.
In conclusione, la domanda oggi è: «Perché i politici ambiscono sotto ogni punto di vista a raggiungere i colleghi europei, ma proprio sulla questione dei diritti civili l’Italia continua a rimanere il fanalino di coda?».
Di interpretazioni ce ne sono tante, di risposte potremmo scriverci libri, ma l’unica costante è che come sempre rimaniamo i “dimenticati” di una società troppo impegnata a decidere se votare o meno alle prossime elezioni. Vamos.
Gianluca Di Maula
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