Appare anacronistico, negli anni venti del ventunesimo secolo, dover spiegare qual è il limite tra satira e derisione, leggerezza e discriminazione, esorcizzare uno stereotipo e alimentarlo. Sono tanti i comici che riescono a far ridere, prendendo di mira con satira pungente i potenti o gli oppressori, ironizzando sui comuni comportamenti umani e sociali, quelli che rievocano situazioni paradossali, o che basano la propria comicità su luoghi comuni del tutto innocui. Poi c’è l’ormai sempre più folta schiera di quelli che «il politically correct ha rotto, non si può scherzare più su niente». Un’argomentazione pigra, ma soprattutto poco autocritica, che esce quasi sempre dalla bocca di chi a una minoranza non appartiente.
Succede, quindi, che dei comici decidono di pubblicare sui propri social network – seguiti da milioni di follower – uno sketch basato sull’originale trovata di fare un parallelismo tra la variante brasiliana del Coronavirus e le donne transgender del Paese carioca (sebbene queste non siano mai citate esplicitamente). Nel video ci sono tre uomini che hanno contratto tre diverse varianti del virus – quella cinese, quella inglese e quella brasiliana – e che danno vita a un’intervista tripla nello stile de Le Iene. «Io l’ho presa da un pipistrello», afferma il primo. «Io l’ho presa alle 5, con il tè», aggiunge il secondo. «Io l’ho presa da dietro», ribatte il terzo. «Mi aveva detto che era una donna – aggiunge quest’ultimo nelle risposte successive – Ho fatto la ca**ata di girarmi. Se non c’aveva la mascherina, m’accorgevo che c’aveva i baffi».
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Il risultato è bipolare: grandi applausi e fragorose risate su Facebook, forti polemiche e indignazione su Instagram (provenienti per lo più da persone trans). Alle proteste, i PanPers – autori del post – hanno replicato sostenendo che «pensare che in questo video ci sia del fango gettato sull’identità delle donne transessuali è totalmente insensato» e che «o si vuole sollevare un polverone gratuito o si è privi di autoironia».
Nessuno ha mai pensato, ovviamente, che i comici coinvolti volessero discriminare o offendere le persone trans: uno di loro ha interpretato un personaggio omosessuale in una fiction, un altro ha dato vita ad alcuni sketch a favore dei diritti LGBT+. Ma si può sbagliare anche senza accorgersene. E si può provare a comprendere le critiche, prima di bollarle come carenza di autoironia. Una donna trans dovrebbe forse ridere di questo sketch? Dovrebbe trovare dell’ilarità nell’essere vista – sebbene in modo scherzoso – come un uomo che usa la mascherina per ingannare un altro uomo sulla propria identità e poi abusare di lui? Dovrebbe farlo dopo che per anni è stata vittima di insulti, violenze e molestie per via della propria identità di genere? Bisogna essere un privilegiato per non essersi interrogato su questo.
L’attivista trans Alec Sebastian D’Aulerio ha spiegato in un video Instagram perché quel siparietto fa arrabbiare le persone trans: «La comicità non è un’offesa ai danni degli altri. Le battute sono fatte per ridere insieme e non per ridere di qualcuno. Nel momento in cui io mi sento offeso, quella non può più essere una battuta. Non esiste proprio che tu dica che siamo privi di ironia e che quella non è un’offesa di genere. Se io ti dico che è un’offesa, è un’offesa. Soprattutto se a dirtelo è la comunità trans. Sennò tanto vale fare anche la variante africana con la blackface».
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