«Siamo qui e siamo in tantə! Siamo attori e attrici che si identificano come lesbiche, gay, bisessuali, trans*, queer, intersessuali e non-binary, tra molte altre cose. Finora non abbiamo potuto essere apertə circa le nostre vite private senza temere conseguenze sul piano professionale». È così che inizia il manifesto #ActOut, con cui 185 attori e attrici professionistə hanno fatto coming out, dopo la costrizione al silenzio del mondo di cinema e TV.
«Troppo spesso, moltə di noi sono stati ammonitə da manager, agenti, colleghi, produttori, editori, registi, a tacere sui nostri orientamenti sessuali e sulle nostre identità di genere per evitare di mettere a rischio le nostre carriere – spiegano i protagonisti e le protagoniste dell’iniziativa al magazine tedesco della Süddeutsche Zeitung – Stiamo mettendo fine a tutto questo: una volta per tutte! Abbiamo deciso di unirci con una dichiarazione pubblica per ottenere visibilità».
L’iniziativa ha un che di storico: è la prima volta che un numero così alto di persone famose decidono di fare un coming out di massa. Ed è anche questo il motivo per cui la Süddeutsche Zeitung ha deciso di dedicare a questo evento la copertina del magazine.
I firmatari del manifesto
Tra i 185 nomi presenti, troviamo volti storici (ma anche nuovi e freschi) del mondo dell’intrattenimento tedesco. Ad esempio ci sono Karin Hanczewski, 39 anni, e Mark Waschke, 48 anni, protagonisti di Tatort, una serie di gialli polizieschi che va in onda la Domenica. Ma troviamo anche Godehard Giese, 48 anni, protagonista di Deutschland 83 e Babylon Berlin, ed Eva Meckbach, 40 anni, nota in italia per la serie di Netflix Criminal Germania. Tra tutti i nomi presenti, in particolare, spicca quello di Ulrike Folkerts, anch’essa protagonista di Tatort, che si era dichiarata nel 1999 e che, secondo alcuni, si è vista danneggiare la propria carriera a causa di ciò.
«Alcuni di noi sono attori e attrici che hanno coraggiosamente rischiato di fare coming out da solə in passato – affermano – alcuni di noi stanno decidendo ora di farlo. Siamo nuovi arrivati, nomi noti, ma anche nomi di cui forse non avete ancora sentito parlare. Siamo cresciuti quando l’omosessualità era ancora illegale, e siamo anche più giovani di Elliot Page. Siamo cresciuti in villaggi e grandi città. Siamo nerə, persone con esperienze da immigratə e persone con disabilità».
Una questione di “credibilità”?
«Non siamo un gruppo omogeneo – precisano poi le persone aderenti al manifesto – Finora, ci è stato detto che se avessimo rivelato alcuni aspetti delle nostre identità, in particolare i nostri orientamenti sessuali e le nostre identità di genere, avremmo improvvisamente perso la capacità di interpretare alcuni personaggi e relazioni. Come se la conoscenza di chi siamo nella nostra vita privata invalidasse in qualche modo la nostra capacità di incarnare in modo convincente i ruoli per il pubblico».
Quello che si evidenzia all’interno del manifesto, in particolare, è il discorso legato alla credibilità fittizia dei personaggi interpretati. Nel mondo dei cinema, spiegano i protagonisti dell’iniziativa tra «coloro che prendono le decisioni sui soldi» è molto diffusa l’idea che se una persona è LGBTQ+ e si dichiara smetta di essere credibile per i ruoli da protagonista, soprattutto romantici. Ma è in questo caso che, giustamente, i 185 si trovano in disaccordo. D’altronde il ruolo dell’attore è interpretare: dalle mogli e padri di famiglia agli amanti e statisti.
Spesso, tra l’altro, si trovano ad interpretare personaggi con cui non sarebbero mai statə d’accordo in privato. «Possiamo impersonare degli assassini – affermano – senza aver ucciso. Possiamo salvare delle vite senza aver studiato medicina. Possiamo interpretare persone con identità sessuali diverse da quelle che viviamo. E lo facciamo da molto tempo, da sempre, perché questo è il nostro lavoro».
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