Secondo uno studio, la maggior parte dei bambini e delle bambine trans trattati con bloccanti della pubertà ha riferito di sentirsi più felice dopo l’inizio del trattamento.
La ricerca ha coinvolto 44 giovani trans con disforia di genere persistente e grave di età compresa tra 12 e 15 anni. I giovani erano tutti pazienti al GIDS (Gender Identity Development Service ), la clinica per gli studi sul genere di Inghilterra e Galles. Dopo una valutazione durata due anni, i ricercatori hanno monitorato i 44 volontari e le loro famiglie tra il 2011 e il 2014.
Tutti hanno dichiarato di aver sofferto di disforia di genere costante e persistente per almeno 5 anni. Questa problematica era aumentata in modo significativo con l’inizio della pubertà, con un’alta probabilità di grave disagio psicologico di fronte al pieno sviluppo.
Lo studio, pubblicato sulla rivista PLOS One, ha rilevato che la maggior parte dei giovani trans con bloccanti della pubertà ha avuto un’esperienza positiva del trattamento. «L’esperienza del trattamento da parte dei partecipanti – scrivono i ricercatori – è stata positiva per la maggioranza, in particolare per quanto riguarda il sentirsi più felici, le migliori relazioni con la famiglia e i cambiamenti positivi nel ruolo di genere». Alcuni, tuttavia, hanno riportato cambiamenti negativi, in gran parte correlati agli effetti collaterali previsti. Nessuno di loro, però, ha voluto abbandonare il trattamento.
Cosa è successo dopo il trattamento
Lo studio ha inoltre rilevato che il 98% dei giovani ha continuato la terapia ormonale sostitutiva una volta interrotto il trattamento per il blocco della pubertà, data la gravità e la persistenza della disforia di genere. Un o una partecipante su 44, dunque, ha interrotto il trattamento senza passare alla terapia ormonale sostitutiva. Secondo i ricercatori, questo dato fornirebbe la prova che lo sviluppo dell’identità di genere continua con il trattamento con GnRHa.
È bene ricordare che i bloccanti della pubertà non sono un trattamento di affermazione del genere, come la terapia ormonale sostitutiva o gli interventi chirurgici. L’utilizzo di questi ormoni, infatti, non migliora la disforia di genere in modo significativo, ma ne impedisce l’aggravarsi successivamente allo sviluppo dei caratteri sessuali secondari.
«Sono necessarie ulteriori ricerche»
«Questo documento ci aiuta a comprendere il modo migliore per sostenere questi giovani – ha dichiarato la dott.ssa Polly Carmichael, direttrice del GIDS – I risultati, in linea con altre ricerche, mostrano che l’esperienza dei e delle pazienti è positiva. Sono necessarie, però, ulteriori ricerche su questo problema complesso». Lo studio proseguirà seguendo i 44 nella giovane età adulta per esaminare a lungo termine i benefici della soppressione della gonadotropina e comprendere meglio i fattori che influenzano i risultati.
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