La città dei vivi. Nicola Lagioia. Einaudi 2020
È un degrado che avvolge persone, ambienti e valori, quello che Lagioia ci illustra in questo libro, non un romanzo ma il racconto di un efferato fatto di cronaca.
La prima protagonista è la stessa città di Roma nel marzo 2016, livida e funerea, senza un sindaco ma con due papi; accerchiata da ratti e gabbiani che contendono la rapacità all’inchiesta denominata Mondo di Mezzo, famosa anche come “Mafia Capitale”.
Poi ci sono i tristemente famosi ragazzi invischiati nella storia: Luca Varani, la vittima, ed i due assassini Manuel Foffo e Marco Prato. Immediatamente dopo, grazie alla visibilità mediatica data dai social e dalla tv, troviamo i familiari e, in ultimo, tutti gli amici ed i conoscenti che, nel terzo capitolo del libro, sono appunto definiti il coro.
Con un ritmo giornalistico incalzante lo scrittore ci conduce nella vicenda, riesaminando quasi a ritroso tutti gli episodi per giungere al crescendo parossistico di alcool e droga che hanno poi portato al primo terribile epilogo. Il secondo si sarebbe poi consumato l’anno successivo con il suicidio di Marco Prato in carcere alla vigilia del processo.
Vite spezzate quindi in cui si possono solo intravedere le debolezze di giovani che, pur appartenendo a sfere sociali diverse e con differenti storie personali, hanno in comune una dolente necessità di vivere al di fuori di un comportamento morale, o perlomeno di sfida nei riguardi dei limiti imposti dal vivere in società. Poiché però le vite irrimediabilmente compromesse appartengono a persone reali, non è possibile dare un giudizio e, in qualche modo, lo stesso Lagioia non si sbilancia.
Un buon risultato è dunque questo libro che si potrebbe definire una “non fiction novel”, anche se due inserimenti narrativi, avulsi alle vicende centrali, non sono a mio avviso funzionali e, addirittura, non convincenti all’intera architettura letteraria. Il primo è costituito dall’episodio del pedofilo olandese, personaggio che, pur estraneo agli avvenimenti, serve a rimarcare il degrado cui è arrivata Roma. Poco calzanti anche gli inserti autobiografici, quasi a sottolineare il sottile livello che ci separa, in alcuni momenti della nostra vita, a compiere azioni che, volutamente o meno, possono danneggiare gli altri; ma un conto è farlo nella, pur tarda, adolescenza, un altro in età adulta, o presunta tale.
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