Dopo 15 anni assieme, avevano deciso di unirsi civilmente verso i primi di dicembre. Conosciuta la bella notizia, gli amici intimi si sono subito felicitati con i due. Diversamente è andata in famiglia. Questo perché a unirsi non erano un uomo e una donna ma due uomini omosessuali, Antonio e Davide (nomi di fantasia), rispettivamente di 59 e 48 anni.
«La reazione della mia famiglia è stata violenta e severa perché teme il giudizio della gente» racconta Antonio, uno dei due uomini protagonisti di questo amore ostacolato. L’uomo, scrive L’Arena, pensa però che dovrebbe essere altro di cui la propria famiglia dovrebbe aver paura: «Non teme però di perdere l’affetto di un figlio. Sono gay da quando ero adolescente, ho visto mio padre piangere quando se ne accorse, ma abbiamo tirato avanti per decenni in qualche modo. Il matrimonio è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso del loro perbenismo».
Antonio una volta buttato fuori di casa ha deciso di rivolgersi all’avvocato Matteo Tirozzi, che ha inviato una diffida ai parenti. «Nemmeno il doppio intervento delle Forze dell’ordine è risultato risolutivo, tanto che il mio assistito è stato costretto a trascorrere tutta la notte nel plateatico della villa nella speranza vana di poter prima o poi entrare…», scrive il legale.
Col passare del tempo il clima in famiglia non è migliorato, anzi, il contrario. Si sono susseguiti una serie di episodi di violenza e vere e proprie minacce come quella di uno dei fratelli di Antonio: «Se sposi quell’uomo, ti ammazzo». Chiaramente l’omofobia è di famiglia. Antonio, parlando di un fratello, riporta il giornale veronese, racconta anche di un episodio gravissimo: «Ha cercato addirittura di investirmi con un furgone che usiamo in azienda per le consegne dei nostri prodotti». Continuando il racconto aggiunge: «Ho cercato riparo dietro a una colonna. Credevo che la sua rabbia fosse sbollita e solo a quel punto ho iniziato a camminare nel cortile mentre lui, mio fratello, vedendomi allo scoperto, ha ingranato la retromarcia del furgone cercando di travolgermi. Tanto che io, molto spaventato, ho iniziato a cercare un nuovo riparo e sono caduto per terra. Solo a quel punto mio fratello ha desistito e se n’è andato, naturalmente senza neppure soccorrermi».
Tornato a casa per prendere il tesserino sanitario e con quello raggiungere il Pronto soccorso e farsi medicare, Antonio è stato nuovamente aggredito da quelle persone che invece dovrebbero amarlo e appoggiarlo: «Mia cognata ha istigato mio fratello a picchiarmi dicendo che la mia vita era finita e che mi avrebbero rinchiuso in manicomio». È stato necessario l’intervento di due pattuglie dei carabinieri per evitare che la situazione degenerasse.
Antonio, che forse nella speranza potesse servire a qualcosa ha accettato «la riduzione di partecipazione alle quote sociali di utili aziendali fino a scendere a un modesto quattro per cento», non ne può più di questa dolorosa e pericolosa situazione. «Vivo da più di trent’anni in una situazione precaria, dove gli affetti familiari sono stati recisi come fiori appassiti perché la mia storia viene vissuta con disonore, pregiudizio, rancore. Spero non debba succedere ad altri». Intanto l’uomo, pochi giorni fa, è stato protagonista di un altro spregevole episodio: «Dovevo sottopormi ad alcuni accertamenti medici al Policlinico di Borgo Roma e avevo bisogno di andare con l’auto, ma i miei famigliari mi hanno sequestrato anche le chiavi e ho dovuto noleggiare una Panda e con quella recarmi all’ospedale».
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