Questa volta l’ultima terribile vicenda di omotransfobia arriva dall’Africa, più di preciso dall’Uganda.
L’associazione All Out ha raccontato la storia di Obi – nome di fantasia – un 20enne arrestato ad aprile assieme ai suoi coinquilini. Obi al tempo viveva in una casa di accoglienza, alla periferia della capitale, Kampala, assieme ad altre 19 persone gay, bisessuali e transgender ugandesi. «La nostra comunità si era formata per avere un luogo sicuro dove vivere e per prendersi cura gli uni degli altri – ha affermato – molti di noi sono sieropositivi, altri sono molto giovani».
Poi purtroppo il coronavirus, che non ha confini, è giunto anche in Uganda andando a fornire un pretesto alla polizia per scagliarsi contro Obi e gli altri ragazzi: «A causa del lockdown, potevamo uscire pochissimo. In questo Paese l’omosessualità è un reato e la polizia, nota per le violenze contro le persone LGBT+, ha approfittato del lockdown per prendere di mira la nostra casa di accoglienza».
«Non facevamo niente di male – ha spiegato – cercavamo solo di sopravvivere, quando hanno fatto irruzione nella nostra casa, arrestando 20 persone per aver, secondo loro, “violato le regole di distanziamento sociale”. Poi ci hanno fatto sfilare per le vie della città in modo che tutti vedessero chi eravamo. Il sindaco ha persino preso a frustate pubblicamente due di noi. Quindi, ci hanno portato in prigione. È stato lì che, giorno dopo giorno, siamo stati maltrattati brutalmente dai secondini e dagli altri detenuti. Ci hanno ustionato con legna infuocata e picchiato con dei bastoni».
Quelle di Obi sono parole forti di cui sono testimoni le cicatrici ancora visibili sulla sua pelle e che forse mai se ne andranno dalla mente. Dopo 50 giorni di carcere e umiliazioni, i giovani sono stati rilasciati senza accuse e l’organizzazione che gestiva la casa di accoglienza, la Children of the Sun Foundation, è riuscita a fornirgli un alloggio provvisorio. Ma con la crisi attuale la situazione è difficile ed i soldi scarseggiano.
«Certi giorni restiamo senza cibo, acqua o sapone. E non abbiamo più i soldi per pagare l’affitto – scrive Obi – Inoltre, non è più sicuro per noi vivere tutti insieme nella stessa casa. La polizia potrebbe arrivare di nuovo in qualsiasi momento. Dovremmo essere alloggiati in case separate, in modo da essere meno vulnerabili rispetto a un gruppo più ampio. Ma Children of the Sun Foundation non ha i mezzi per fornirci questo aiuto». È per questo che All Out chiede di fare una donazione per trovare nuovamente alloggio ai 20 omosessuali, bisessuali e transgender coinvolti.
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1 thought on “Uganda, casa rifugio LGBT+ presa di mira dalla polizia: venti giovani torturati e umiliati”
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