Questa settimana, in prima assoluta nazionale, è stato proiettato alla 56esima Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro il docufilm “Il caso Braibanti” che ricorda il processo farsa che subì l’intellettuale Aldo Braibanti a causa del legame sentimentale con il suo allievo Giovanni Sanfratello. Un’Italia di fine anni Sessanta, dominata dal sentimento religioso in ogni sfera della vita pubblica, permise una condanna per plagio: un reato di stampo fascista che la Consulta dichiarerà incostituzionale solo nel 1981. Il docufilm è una lampadina che riaccende la luce su un calvario giudiziario e un doloroso percorso di terapie riparative avviati per volontà di un pubblico ministero che assecondò le riprovevoli convinzioni della frustrata famiglia Sanfratello. Inascoltati furono gli appelli del mondo della cultura, da Pier Paolo Pasolini a Elsa Morante, poiché i giudici elevarono a sentenza i costumi italici del tempo.
Nato a Fiorenzuola d’Arda nel 1922, Braibanti aveva abbandonato gli studi di filosofia per aderire a Giustizia e Libertà e unirsi alla lotta di Liberazione, laddove conobbe il carcere e la tortura. In seguito, un dopoguerra segnato dall’emergere della propria vocazione di artista eclettico e una passione per l’insegnamento che gli fece conoscere un discepolo speciale: Giovanni. La sua omosessualità sarebbe stata ben presto preda di una società che guardava all’amore non tradizionale come a un vizio considerato tale anche dal Partito Comunista, nelle cui fila militava il Braibanti. Nove anni di reclusione in primo grado, successivamente ridotti a quattro, senza più il suo compagno internato e soggetto agli elettroshock del manicomio. Solo perché partigiano, Aldo Braibanti riuscì a scontare due anni di prigionia e ottenne una piccola pensione vitalizia quando, ormai ottuagenario, venne sfrattato dalla propria casa.
Nel 2014, a pochi giorni dalla sua morte, il senatore Sergio Lo Giudice lo ricordò in Parlamento per le sue virtù intellettuali e per la gogna a cui fu sottoposto a causa della vicenda giudiziaria. Proprio da quelle parole prende vita il ricordo di un caso italiano che i registi Carmen Giardina e Massimiliano Palmese ricostruiscono attraverso le testimonianze di parenti, amici e colleghi di Braibanti. Ne emerge la tragica impossibilità per una coppia omosessuale di coesistere con un’Italia riottosa a qualsiasi alternativa al modello patriarcale imperante. Nell’offuscata memoria del nostro Paese, al docufilm va il merito di non rendere vano il sacrificio di Aldo e Giovanni.
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