È davvero così difficile scrivere bene quando si parla di transessualità? Come materia può risultare nuova, anche se diciamoci la verità, il termine è stato coniato del 1949, solo due anni prima il Festival Della Canzone Italiana. Come ci siamo abituati ai fiori di Sanremo, possiamo anche imparare a scrivere in maniera corretta quando si parla di identità di genere.
Può non essere facile, effettivamente non siamo abituati a pensare in termini di generi non strettamente binari, e delle volte, ricercare le giuste informazioni, causa fatica, sopratutto con le temperature marziane di questo agosto. Ma quando non va Maometto alla Montagna, arriva la campagna #ScriviBene, organizzata da Mio figlio in Rosa e GenderLens.
L’iniziativa invita a postare una foto, seguita dall’hashtag #ScriviBene e da una descrizione che trovate in calce, contiene tutti i mezzi necessari per scrivere bene quando si parla di transessualità. Mi raccomando, se decidete di partecipare alla campagna, taggate Mio figlio in Rosa e GenderLens.
Molte persone affermano di conoscere una persona lesbica, gay o bisessuale. Al contrario quasi nessuno afferma di conoscere personalmente una persona transgender. Stando così le cose, la maggior parte della gente viene a conoscenza delle persone transgender attraverso i media. Quindi, quando i media parlano di questioni o storie di persone transgender, è INDISPENSABILE che lo facciano bene.
Ecco quindi delle nozioni di base per giornalisti (e non) che vogliano scrivere un pezzo o raccontare una storia che riguarda una persona trans.
La lingua è importante. L’uso di una terminologia accurata è il primo passo verso la creazione di una storia rispettosa. Non usare mai termini che disumanizzano la persona. Non sbagliare mai i pronomi. Non presumere che esistano solo donne transgender. L’identità di genere è parte integrante dell’identità di una persona lungo tutto lo spettro del genere.
Quando si descrive che una persona è transgender la parola “transgender” va SEMPRE usata come aggettivo. Ad esempio, “Anna è una donna transgender”. Se il tuo pubblico ha bisogno di chiarimenti sul significato di quella frase, puoi spiegare che “Anna è stata assegnata maschio alla nascita”. Evitare SEMPRE di dire “Anna è nata uomo”. Le persone nascono bebè e un* medic* decide il sesso in base a una rapida occhiata all’anatomia esterna. Ma il genere di una persona è molto più complicato di quanto si possa vedere con una semplice occhiata. La biologia di una persona non “vince” la sua identità di genere e semplificazioni eccessive come “nato un uomo” possono invalidare il genere attuale e autentico della persona di cui stai parlando.
Non usate gli acronimi MtF o FtM (male to female o female to male). Riducono l’esistenza di una persona al solo corpo e fanno pensare che un uomo trans non sia nato uomo o una donna trans non sia nata donna. Inoltra occulta le persone queer e non binari che non si riconoscono nei due generi socialmente riconosciuti e accettati m o f. Ricorda: il genere delle persone non dipende dal corpo.
Usa piuttosto l’acronimo AMAB o AFAB (assigned male or female at birth) se proprio devi e col permesso della persona.
Vai oltre il racconto del coming out. Cerca di fare domande che vadano oltre il coming out. Le persone transgender hanno una vita. Bisogna cercare di andare oltre le domande “quanto te ne sei accort*”. Ci sono cose più interessanti. Racconta la storia della persona nella sua totalità. Essere trans è una delle tante qualità di una persona.
Evita di concentrarti su questioni mediche. È inopportuno porre domande a una persona cis sui propri genitali quindi lo è ANCHE per una persona trans. Non chiedete che interventi chirurgici ha fatto. In genere, queste domande sono poste solo per curiosità pruriginosa. Distraggono sia il giornalista che lo spettatore dal vedere LA PERSONA. Distraggono la concentrazione da questioni più grandi che riguardano le persone transgender come la mancanza di diritti, la discriminazione, la povertà e la violenza. Finiscono addirittura per incoraggiare la violenza e la discriminazione.
Non caratterizzare l’essere transgender come un disturbo mentale. Non lo è.
Non divulgare il nome anagrafico. Il nome scelto da una persona transgender è il suo vero nome, indipendentemente dal fatto che sia in grado di ottenere un cambio di nome ordinato dal tribunale. Molte persone usano dei nomi che hanno scelto per loro stesse e i media non menzionano il loro nome di nascita quando scrivono su di loro (ad esempio, Lady Gaga, Madonna, Whoopi Goldberg). Le persone transgender dovrebbero avere lo stesso rispetto. Quando parli di una persona trans, non dire “vuole essere chiamata”, “va sotto il nome di Anna” o altre frasi che mettono in dubbio la sua identità. Non mettere mai il nome tra virgolette. Non rivelare il nome di nascita senza il permesso esplicito della persona.
Se vuoi inserire un titolo o delle foto non è necessario mostrare il prima e dopo. Spesso queste immagini sono semplicemente incluse per soddisfare l’invadente curiosità di lettori o degli spettatori e, nella maggior parte dei casi, non aggiungono nulla di sostanziale alla storia. Allo stesso modo, evita immagini cliché di donne transgender che si truccano, parrucche o collant e scatti di uomini transgender che si radono. Questo tipo di foto passa il messaggio che essere transgender è semplicemente una questione superficiale, esterna. Essere transgender non riguarda o si limita all’apparenza fisica. Non passare il messaggio che ci sia qualcosa di promiscuo nell’essere una persona trans. Con i titoli, è spesso necessario risparmiare spazio e semplificare; tuttavia non bisogna farlo a discapito del rispetto attraverso cliché e linguaggio offensivo. È facile rovinare una storia ben scritta con un titolo inopportuno e irrispettoso. Evita frasi come “cambio di sesso” o “nato un uomo” o ‘nat* nel corpo sbagliato’.
Evita di inserire il parere di esperti. Sii cauto nell’invitare persone non transgender a parlare di persone transgender. Le persone transgender sono le vere esperte per parlare di persone transgender.
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