Lo schwa (ə), un suono neutro per un linguaggio inclusivo

Usare un linguaggio inclusivo è possibile, lo sostiene la sociolinguista Vera Gheno, che si occupa da anni di questione di genere.

Oltre ad aver scritto diversi articoli sulla necessità di introdurre le declinazioni al femminile di alcune professioni e un libro, dal titolo Femminili Singolari, che mette alla luce il maschilismo della lingua italiana, Vera Gheno ha iniziato a occuparsi anche di linguaggio inclusivo per le persone LGBT+.

«Normalmente, l’italiano prevede che anche in presenza di un solo maschio si passi al maschile sovraesteso: “I ragazzi sono tutti qui” (magari sono quaranta ragazze e un ragazzo) – dice in un’intervista a The Submarine – Nel corso di moltissimi incontri e presentazioni in giro per l’Italia, mi è stato posto un altro dilemma: “esiste un modo alternativo per rivolgersi a una moltitudine mista che magari comprenda anche persone non-binarie?”».

Per la sociolinguista un modo c’è: l’uso dello schwa, un simbolo dell’Alfabeto Fonetico Internazionale che è rappresentato da una “e” minuscola rovesciata: “ə”. Avendo, come sostiene la Treccani, un suono neutro, non arrotondato, senza accento o tono, di scarsa sonorità è il candidato ideale per quando si vuole parlare al pubblico, andando ad eliminare i limiti nel parlato dell’uso di asterischi e altri segni grafici.

«Per quanto io stessa ne veda i limiti fortissimi, ogni tanto, quando scrivo per contesti nei quali le questioni di genere sono particolarmente sentite, scrivo cose come “Carə tuttə.” – rivela Gheno – Per inciso, non sono stata io a coniare la proposta: la questione risale a diversi anni fa».

Il dibattito è tornato alla ribalta a causa di un pezzo di Mattia Feltri per La Stampa. Nel suo elzeviro, ricco di luoghi comuni mascherati da sarcasmo, al grido di «Allarmi siam fascistə» il giornalista si interroga sull’effettiva necessità di una vocale neutra che tuteli le persone dal sessismo e ne rispetti l’identità. Non sono tardate ad arrivare le risposte di EffeQu, la casa editrice del libro della Gheno, e della sociolinguista stessa che eviscera il breve testo di Feltri portandone alla luce imprecisioni e inesattezze.

A conclusione del lungo post, che invito a leggere, Vera Gheno cita Tullio de Mauro che nel 2006 scriveva: «Dobbiamo tenere conto del fatto che in materia di scuola e di lingua molti intellettuali e politici, dato che sono andati a scuola e a scuola ci va la sorellina o la nipotina, e dato che parlano, si sentono autorizzati a sparare panzane a ruota libera. Come se, per il fatto di vivere nel sistema solare, ci sentissimo autorizzati a dare pareri di astrofisica o, causa raffreddore, in materia di batteriologia e virologia. Eppure questo avviene per la scuola e per la lingua».

Una chiara presa di posizione contro chi si erge a linguista senza averne i titoli o le competenze, sottolineata anche nell’intervista a The Submarine. «Davanti a ogni istanza mi chiedo sempre se quella prima reazione istintiva che magari mi porta, come tutti, a sbottare “ma che problemi sono questi?”, non sia forse frutto di una difficoltà a mettersi nei panni di chi magari soffre davvero per quella certa cosa che a me sembra del tutto ininfluente – osserva l’esperta – In questo caso, chi sono io per dire che chi non si riconosce nei generi maschile e femminile sbaglia, o anche definire quale sarebbe per loro il modo giusto di esprimersi? Io intanto osservo e registro». «Poi, magari, a livello concreto non cambierà nulla, nell’italiano – conclude – Ma intanto, prendiamo la questione per quello che dice di noi, della nostra società e soprattutto delle persone multiformi e multicolori che la compongono».

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