Greta Berardi, ragazzina transgender di Ravenna la cui storia è diventata celebre in tutta Italia grazie a dei servizi andati in onda in diversi programmi televisivi, finalmente potrà essere chiamata col suo nome. I genitori di Greta, infatti, si sono rivolti alla sezione civile del Tribunale di Ravenna per chiedere il cambio del nome della figlia.
«Il cambio del nome è il minimo diritto che un essere umano può chiedere – ha dichiarato la madre, Cinzia Messina – Greta ha il diritto di essere chiamata col proprio nome come tutte le altre persone». Non è ancora giunta la decisione della giudice Antonella Allegra, che ha chiesto un parere sul ricorso alla Procura di Ravenna. La Pm Cristina D’Aniello, secondo quanto riportato dall’ANSA, si è dichiarata favorevole.
Greta ha iniziato a capire di essere una ragazzina già a tre anni, quando si forma l’identità di genere. Intorno ai sei anni ha capito che qualcosa non andava col suo corpo: lei era una bambina, ma tutti gli altri la vedevano come un maschietto.
«C’era uno spogliatoio – racconta la giovane – io volevo andare in quello delle femmine, ma la maestra mi guardava malissimo e mi diceva che dovevo andare in quello dei maschi. Ho capito che qualcosa non andava anche quando per il mio compleanno volevano regalarmi uno zaino: il mio gemello Paolo voleva quello di Spiderman, io quello delle Winx. Dicevano che dovevo prendere lo zaino da maschio, ma alla fine mi hanno accontentata. Io dicevo ai miei genitori di essere una bambina, ma loro pensavano fosse una fase di passaggio».
Nel corso degli anni le difficoltà che ha dovuto affrontare Greta sono state tante, dal bullismo dei compagni di classe alla quasi totale assenza di un supporto da parte del sistema scolastico, con insegnanti che le impedivano di usare il bagno delle ragazze e le consigliavano in alternativa quello dei disabili.
Un momento altrettanto difficile è stato quello in cui Greta ha deciso di dire ai propri genitori qual era la sua identità di genere. «Mio babbo mi vedeva triste da un po’, così mi ha chiesto cosa avessi fatto, anche se aveva già intuito – racconta – Mi ha chiesto “Ti senti femmina?”. Io gli ho risposto di si. Il giorno dopo l’ho detto anche a mia mamma, che ovviamente era già stata avvisata dal babbo. Lei mi ha detto che non ero sola, ed è molto importante perchè le persone transgender tendono sempre a pensare di essere i soli a provare queste cose». «Appena me l’ha detto non ero così coinvolta – spiega la mamma di Greta – Poi dopo mi sono resa conto che era un anno che cercava di dircelo. Mi ha detto “Mamma, se non avessi trovato il coraggio di dirtelo mi sarei uccisa”».
Dopo essersi consultati con l’ospedale Careggi di Firenze, l’intenzione di Greta è stata chiara: una volta arrivati i 18 anni completare il percorso per la riattribuzione di genere. «Manca una legge che tuteli questa categorie di persone, ma più in generale manca proprio l’educazione nella nostra società alle diversità di tutti i generi – spiega la mamma di Greta – Ora, insieme al suo babbo, vorremmo raccogliere firme per la legge 164 dell’82 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), che non è aggiornata dall’82 appunto: vorremmo provare a cambiarla, ad esempio anticipare il cambio di nome senza passare dal tribunale o anticipare la possibilità di assumere ormoni. È un po’ un’utopia, ma vogliamo tentare».
Per questo hanno dato via a una petizione. «Sto iniziando a capire che non è colpa mia se sono nata maschio – conclude Greta – Il mio non è un corpo sbagliato, ma un corpo che inizierò ad adattare a quello che io sento e che sono».
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