I commenti omofobi sul luogo di lavoro non sono certamente una novità, ma fa sempre un certo effetto quando questi provengono da una collega, un’infermiera, che dovrebbe basare la propria professione sull’assenza di pregiudizio. A raccontarci questa storia è un nostro lettore, che chiameremo Antonio (nome di fantasia), un 22enne di origini siciliane, trasferito a Torino per lavoro.
«Sono uno di quelli che laureato da soli due mesi è stato sbattuto a lavorare in un reparto covid, con tutte le difficoltà del caso che potete immaginare e che non starò qui a raccontare – ci spiega – Da ormai un mese, con il calo dell’emergenza, faccio parte di un’altra unità operativa. Qui l’equipe infermieristica è molto unita, se non fosse per qualche elemento, facile da trovare in qualsiasi gruppo di lavoro, che ahimè rovina un po’ gli equilibri».
Antonio si riferisce ad una sua collega, con cui agli inizia aveva una buona sintonia e, non dando retta a chi l’aveva messo in guardia, si era confidato con lei, raccontando aspetti della sua vita privata, come quello che stava frequentando un ragazzo. Poi, qualche giorno fa, una discussione per motivi lavorativi cambia gli equilibri.
«Ieri vengo a sapere da un’altra collega che l’infermiera con cui ho litigato ha deciso di sfogarsi con tutto il personale in turno quello stesso giorno, mentre io ero a casa – racconta il 22enne – dicendo con superiorità e cattiveria: “Lui non si può permettermi di rispondermi così… La che**a isterica con me non la deve fare”».
Antonio ha deciso di mantenere l’anonimato e di non segnalare l’episodio in direzione per tutelare colei che gli ha riferito l’accaduto: «Non lo faccio per rispetto alla mia collega che è più fragile di quanto possa esserlo io. Se me lo avesse detto di persona, faccia a faccia, le cose non sarebbero sicuramente andate bene».
Il giovane infermiere ora è demoralizzato: in quel trasferimento al nord, in quel nuovo lavoro e quell’ambiente apparentemente inclusivo aveva riposto le proprie speranze di un futuro migliore. E invece si ritrova a combattere con le proprie insicurezze, ancora non superate del tutto, che lo hanno portato ad accettarsi e fare coming out solo un anno fa.
«Quando feci coming out con mia madre, lei passò il primo mese con la fissa preoccupazione che la gente potesse descriminarmi, anche a lavoro – ci spiega – Io vengo da un piccolo paesino della Sicilia. All’epoca dissi a mia madre: “Mamma, figurati se a Torino e in ospedale io possa mai essere discriminato”. Ed invece adesso mi capita una cosa del genere».
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