Ben si comprendono gli effetti della mancanza di tutela omogenea per la cosiddetta stepchild adoption. È il caso di Valentina, insegnante lesbica, la prima ad essersi unita civilmente con la sua compagna Gianna a Sulmona e madre di una bambina nata da inseminazione artificiale.
Per lo Stato italiano, però, solo Gianna è madre della bambina in quanto genitore biologico mentre Valentina non ha alcun ruolo genitoriale. E della mancanza del riconoscimento di tale ruolo si è avuta prova tangibile in quanto Valentina – prima in graduatoria nel concorso di insegnante – si è vista scavalcare dal collega dietro di lei perché padre, e per questo, gli sono stati riconosciuti 6 punti che lo hanno catapultato in prima posizione.
Per poter divenire genitore agli occhi della legge Valentina avrebbe dovuto affrontare una lunga battaglia legale ai fini dell’adozione della bambina, battaglia che non necessariamente porterebbe ad una vittoria. Quindi nuovamente il vuoto normativo determina una mancanza di tutela che, in questo caso, danneggia anche nell’ambito lavorativo.
Come dichiarato da Valentina a Open: «Lo Stato, invece, dovrebbe tutelarci facendo un’integrazione alla Legge Cirinnà – spiega – ne abbiamo bisogno, ma non solo noi. Nella stessa situazione ci sono tante altre mamme e tanti altri papà (nella comunità LGBT+, ndr)». È proprio quello che ci auguriamo: un riconoscimento di ruolo uguale per tutti a prescindere dalla preferenze sessuali. Lo avremo mai?
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