Norma Leah McCorvey, conosciuta con il nome di “Jane Roe”, suo pseudonimo legale, è stata la protagonista del processo americano Roe vs. Wade che portò, nel 1973, ad una vittoria storica per l’epoca: la Corte suprema degli Stati uniti d’America stabilì l’incostituzionalità del divieto di aborto in Texas. La sentenza prese avvio da una causa tentata dalla McCorvey che, in attesa del terzo figlio, non poteva abortire in Texas (Stato nel quale viveva) e non aveva la facoltà economica per trasferirsi in uno Stato in cui l’aborto fosse invece legale. Il terzo figlio della donna nacque comunque per via dei lunghi tempi processuali, ma nel mentre divenne un simbolo del movimento abortista, di cui fece poi parte.
Fino al 1995, partecipò per 20 anni alle lotte abortiste ed ebbe relazioni omosessuali, in seguito all’improvviso si schierò col versante opposto: conobbe un avvocato e il pastore evangelico Schenck a capo di un’organizzazione antiabortista, la Operation Rescue, si convertì alla chiesa evangelista, divenne pro-life e per i successivi 20 anni divenne attivista antiabortista.
I dubbi sulle reali intenzioni della donna che emersero nel corso degli anni, visti i cambi repentini delle sue prese di posizione, ebbero conferma nel documentario girato nel 2017, anno della sua morte in seguito a problemi cardiaci, nel quale la donna stessa confermò che le sue posizioni erano frutto di un accordo: «La mia trasformazione da eroina degli abortisti a testimonial del fronte opposto? Fu tutta una recita. Gli antiabortisti mi pagarono. Mezzo milione di dollari. E io, da allora, interpretai il ruolo della convertita: sono una buona attrice. E sono stata una mercenaria, non un’idealista»; inoltre, il pastore evangelista Schenck, che in seguito lasciò il movimento antiabortista, confermò di averla pagata: «Temevamo che ci abbandonasse, tornando sul fronte opposto. Spesso mi sono chiesto se si stesse prendendo gioco di noi. Quello che non ho avuto mai il coraggio di ammettere è che anche noi la stavamo manipolando, sfruttando le sue vulnerabilità».
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