Le terapie di conversione – conosciute anche come “terapie riparative” – sono dei metodi non riconosciuti dalla comunità scientifica con l’intento di cambiare l’orientamento sessuale o l’identità di genere di una persona, ovviamente al fine di renderla eterosessuale e cisgender.
Oltre al fatto che, alla base di queste terapie, c’è l’idea che essere queer sia sbagliato o comunque non desiderabile (nella maggior parte dei casi per motivi religiosi), non vi sono valide prove scienfiche che provino la loro efficacia circa l’obiettivo, mentre sono tanti i dubbi riguardo i possibili danni che queste tecniche hanno sulla salute psicofisica del paziente che si sottopone.
Sia l’American Psychiatric Association che l’American Psychological Association, così come l’OMS e in Italia l’Ordine Nazionale degli Psicologi, hanno preso una posizione netta contro queste prassi, considerate ascientifiche e contrarie al suo Codice Deontologico. Nonostante ciò, non vi è alcuna legge nel nostro Paese, così come nella maggior parte delle nazioni europee, che vieti esplicitamente le terapie riparative.
In questo si è distinta la Germania, che alcuni giorni fa ha approvato una legge che punisce fino a un anno di carcere per chi pratica le terapie di conversione e fino a 30mila euro di multa a chi le pubblicizza in tutte le sue forme. In Italia una legge simile, purtroppo, ancora non esiste, sebbene nel corso della passata legislatura vi fu una proposta di legge a prima firma del senatore democratico Sergio Lo Giudice.
A tal proposito, lo scorso 10 maggio, Possibile LGBTI+ ha presentato una lettera ai ministri Speranza, Bonetti e Lamorgese affinché si segua la Germania e si approvi anche in Italia una norma di questo tipo, raccogliendo le firme di numerose attivisti, associazioni e realtà di varia natura (tra cui NEG Zone). È stata lanciata anche una petizione, che vi invitiamo a firmare su AllOut.
Le testimonianze dei nostri lettori
Alcuni giorni fa, abbiamo chiesto ai nostri follower di Instagram (prevalentemente uomini omosessuali e bisessuali italiani) se fossero mai stati sottoposti a una terapia riparativa. Hanno partecipato al sondaggio 550 persone, il 4% delle quali ha risposto di sì: un dato allarmante.
Abbiamo quindi contattato alcune di esse, cercando di farci spiegare di che tipo di pratiche si trattasse. Tentativo non proprio facile, tra chi non vuole rivangare in un periodo della propria vita che preferirebbe dimenticare del tutto e chi ha a tutti gli effetti rimosso i dettagli di quelle terapie, che per la maggior parte dei casi avvengono all’interno di comunità religiose (vi avevamo già parlato degli “ex gay” evangelisti) e, più raramente, tramite uno psicologo.
Sono numerosi i racconti di colloqui avuti con sacerdoti, suore, catechisti, insegnanti di religione (ebbene sì, nella scuola pubblica) e altre figure spirituali che hanno tentato con i propri discorsi (e in alcuni casi con la violenza fisica e verbale) di convincere dei giovani ragazzi che essere omosessuali è sbagliato e che dovevano sforzarsi di essere etero. Quindi non proprio delle vere terapie riparative, ma certamente dei comportamenti diseducativi e che possono avere un grave impatto sulla serenità di un adolescente. Chi, più tardi, si è rivolto ad uno psicologo ha generalmente notato un approccio completamente diverso, che mira all’accettazione e non a modificare la propria sessualità.
Ci sono poi delle pratiche che vanno sicuramente oltre, tra esorcismi e terapie psicologiche discutibili. Abbiamo voluto raccogliere i quattro racconti più lucidi e proporveli di seguito, usando dei nomi di fantasia, affinché possiate farvi un’idea di tutto ciò che succede ancora oggi nel nostro Paese.
Le “insicurezze adolescenziali” di Andrea
«Sei o sette anni fa, quando avevo 16 anni, decisi di fare coming out con i miei genitori, che ebbero sorprendentemente una reazione positiva – spiega Andrea – Alcuni giorni dopo mia madre mi propose di intraprendere un percorso psicologico, che accettai perché mi sembrava una buona idea avere un supporto».
La piscologa a cui si rivolse Andrea con la sua famiglia non sembrava tuttavia considerare il fatto che il giovane ragazzo fosse semplicemente omosessuale per sua natura, ma a ogni seduta gli diceva cose del tipo “vedrai che è un periodo, poi passa”. «In una delle sedute – racconta Andrea – cercò di farmi scavare nel passato, usando una tecnica che consiste nel picchiettare il palmo della mano destra con l’indice e il medio della sinistra, al fine di capire se qualche trauma avesse causato questi miei “dubbi”».
A un certo punto, Andrea decise di interrompere le sedute perché infastidito di sentirsi ripetere sempre le stesse cose. «Non so cosa le avessero detto i miei – precisa il ragazzo – e questa non vuole essere una giustificazione per una pratica del genere, in compenso lei espresse poi di voler affrontare un percorso di accettazione con i miei alla fine». Loro, tuttavia, non mi rivolsero la parola per un bel po’.
La terapia dell’avversione di Lorenzo
«Tre anni fa ho fatto coming out con i miei genitori – racconta Lorenzo – che erano tranquilli riguardo la mia omosessualità, ma nella famiglia di mio padre ci sono diverse persone omofobe, tra cui mia nonna. Inizialmente mi sono allotanato da loro, ma con il passare del tempo iniziai a sentire la mancanza di mia nonna, così ho deciso di fare una terapia riparativa».
Una scelta tendenzialmente autonoma, sebbene Lorenzo avesse solo 17 anni, che si rivelò un incubo. «Ci facevano fare terapia dell’avversione, psicoanalisi, preghiera e terapie religiose, quali l’esorcismo – spiega oggi il ventenne – La terapia consisteva in un trattamento psicologico un cui venivamo esposti a uno stimolo e assoggettati a qualche forma di disagio, in modo tale da far cessare un comportamento indesiderabile. Ho pochi ricordi, mi pare di ricordare che mettevano qualcosa di schifoso sulle dita e, nel caso il ragazzo avesse avuto una reazione poco mascolina, gli insegnavano a comportarsi “da uomo”».
«È stato bruttissimo vedere tutte quelle persone omosessuali tristi – confida Lorenzo – Io ed una ragazza lesbica, con cui abbiamo fatto amicizia, ci siamo detti che fosse ingiusto sottoporsi a tutto ciò per far felici gli altri, così abbiamo deciso di smetterla con quella pagliacciata. Ho anche ospitato quella ragazza a casa mia finché i suoi genitori non l’hanno accettata per quel che è».
L’esorcismo di Alessandro
«Da adolescente non accettavo la mia omosessualità ed ero un fervente cattolico – racconta Alessandro – Innamorandomi di un ragazzo, che non corrispondeva il mio sentimento ma che aveva manifestato di accettarlo senza problemi, iniziai a frequentare la chiesa evangelica d’ispirazione luterana. Un po’ per il fascino che questo ragazzo esercitava su di me e un po’ per il modo in cui queste persone leggevano la Bibbia, rimasi colpito e mi convinsero che l’omosessualità fosse contro natura».
Tuttavia, Alessandro conosce durante l’Erasmus un ragazzo con cui ha un rapporto sessuale spontaneo, mattendo da parte la farsa dell’eterosessualità finché non tornò nella sua città, in Puglia. «Preso dai sensi di colpa, decisi di tornare a frequentare la chiesa evangelica, finché questi non mi condussero in una riunione di preghiera che si tenne in una casa – prosegue Alessandro – Qui si disposero attorno a me e iniziarono a invocare Dio affinché scacciasse dal mio corpo un demone ben preciso, di cui però non ricordo il nome».
Un’esperienza traumatica per un giovane omosessuale che ancora doveva accettare la propria sessualità, come egli stesso ci racconta: «Fu difficile ricomporre i pezzi di me. Chiesi aiuto ad una psicologa solo un anno più tardi, grazie all’aiuto di mia madre che mi portò da una sua amica psichiatra. Lei mi diede le risposte che cercavo da anni e mi mise in contatto con un’associazione LGBT. Da allora, è stato tutto in discesa».
La “fattura di Mattia”
«Quando nel 2015 ho confidato ai miei genitori di essere gay, loro non riuscivano ad accettare questa mia condizione – spiega Mattia – soprattutto mio padre, che aveva idee molto strane a riguardo. Lui ipotizzava che fossi impossessato da un demone, che qualcuno mi avesse lanciato una fattura, che il ragazzo con cui stavo all’epoca mi avesse drogato o che avessi cominciato a fare uso di sostanze stupefacenti di mia volontà».
Data l’ossessione e le pressioni del padre, Mattia decise di sottoporsi a un esorcismo in chiesa. «C’era una signora che affermava di togliere le fatture, che mi fece accomodare in una stanzetta con mille cianfrusaglie, tra cui pezzi di ferro bagnati nell’acqua santa – racconta Mattia – Dopo aver fatto uscire mio padre, prese un rosario dalla parte del crocifisso e, a mo’ di frusta, cominciò a tirarmelo addosso. Non avevo idea di cosa stesse facendo, finì mettendosi a piangere e a urlare. Al termine mi abbracciò, dicendomi che era stata l’invidia di alcune persone a farmi cambiare orientamento sessuale».
Dopo di che, non contento, il padre di Mattia decise di portarlo da una psicologa e a fare delle analisi per verificare che non si drogasse, grazie ai quali oggi è terminato il suo inferno: «Per la psicologa e gli altri esami medici ero sano come un pesce».
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18 thoughts on “Terapie riparative: Italia ancora nel Medioevo tra esorcismi e pratiche ascientifiche”
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