Con una lettera datata 30 aprile, la Conferenza Episcopale degli Stati Uniti ha chiesto al Procuratore Generale William P. Barr di «affrontare i danni provocati dall’industria della pornografia», in quanto sarebbe portatrice di «dolore» e «danni permanenti».
Durante l’attuale pandemia il traffico dei siti web contenenti materiale “per adulti” è aumentato vertiginosamente, complici la noia e l’isolamento forzato. Secondo i vescovi degli Stati Uniti, però, la diffusione aumentata di materiale a luci rosse avrebbe danneggiato le famiglie, distruggendo anche quelle più forti «necessarie per comunità forti e sicure».
«L’ubiquità della pornografia nelle mani degli adolescenti – si legge nel documento – rende questo non un problema di incidenti isolati ma di proporzioni culturali. Visto dai giovani, il porno fornisce un modello e un’aspettativa terribili su come le persone dovrebbero trattarsi a vicenda, portando potenzialmente alla coercizione o alla violenza».
«L’accesso senza precedenti, illimitato e anonimo alla pornografia attraverso la tecnologia moderna ha portato gli utenti a cercare video sempre più estremi – continua la lettera – Il mancato rispetto o l’applicazione lassista delle leggi sull’oscenità contro produttori e distributori può aumentare la diffusione di pornografia infantile, altri abusi e condizioni di sfruttamento ancora più ampie».
L’idea che la pornografia sia un problema relativo alla salute pubblica e al benessere psicologico degli individui è radicata in gran parte degli Stati Uniti, tanto che già a partire dal 2016 diversi Stati hanno emesso leggi contro di essa, secondo quanto riportato da Governing. Tuttavia, le risoluzioni si basano su due idee in gran parte infondate che rivediamo nella lettera dei vescovi: che il porno può creare dipendenza psicologica e che l’industria è collegata a un aumento del traffico di sesso.
L’American Psychiatric Association non considera la visione di porno come un comportamento che può causare dipendenza, né sono stato riscontrati collegamenti tra un aumento del traffico sessuale e l’industria pornografica. «Non è la prima volta che vediamo il porno o il BDSM usati come pretesto per la censura della chiesa cattolica – ha dichiarato a Forbes Michael Stabile, portavoce di Kink, un noto sito web di pornografia fetish – È la stessa storia anti-sesso che hanno venduto per secoli. I vescovi non si occupano di violenza o sfruttamento. Si occupano di persone che abbracciano la sessualità senza vergogna. Le loro convinzioni si basano sullo stigma, non sulla scienza».
Lo stesso Stabile ha dichiarato, poi, di aver inviato una lettera alla Conferenza Episcopale, dalla quale non ha ancora ricevuto risposta. Non è ancora chiara la visione di Barr, nonostante le numerose pressioni da parte del Congresso che chiedono una linea più dura con l’industria della pornografia. Secondo un suo portavoce, infatti, il Procuratore non ha ancora risposto alla lettera dei vescovi.
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