A circa una settimana dall’inizio dell’attesa Fase 2 del piano di contenimento della pandemia, sono diverse le coppie omosessuali che si sono riunite. Come specificato dal Governo, infatti, nonostante tra i congiunti non figurino gli amici di vecchia data, si può andare a far visita al proprio partner, purché legati ad esso da uno stabile legame affettivo e pronti a dichiarare il proprio spostamento in un’autocertificazione.
Quello che di per sé dovrebbe essere un modello atto a informare le forze dell’ordine dei propri spostamenti, però, potrebbe costringere molte persone a fare un “coming out forzato”. «Se il problema può considerarsi superato per alcune persone o magari di poco conto per chi abita in grandi metropoli, per chi abita in piccoli paesi la cosa è molto diversa: essere omosessuale in certe realtà viene visto ancora come uno stigma – affermano i consiglieri comunali reggiani e attivisti LGBTI Fabiana Montanari e Dario De Lucia dopo essersi consultati con i legali di Arcigay e con le forze dell’ordine – Omofobia e transfobia nel nostro Paese sono ancora piuttosto diffuse e questo comporta la necessità di una maggiore tutela verso le persone LGBTI+ quando esse siano restie a dichiarare il proprio orientamento sessuale e identità di genere».
Come muoversi, quindi, per tutelare la propria privacy e, al tempo stesso, non incorrere in sanzioni o denunce penali per aver dichiarato il falso? In caso di controllo è bene essere il più sinceri possibile, spiegando alle autorità che si sta andando a trovare il proprio partner e chiedendo, se possibile, di non dare le generalità della persona che si sta andando a trovare, in quanto non esiste alcun obbligo di rivelare i dati dell’affetto stabile.
Tutti i dati contenuti nell’autocertificazione non possono in alcun modo essere diffusi, pertanto una dichiarazione mendace non sarebbe di utilità alcuna. Nel caso, poi, in cui il controllo avvenga in un luogo pubblico in presenza di terzi, è possibile chiedere alle autorità di spiegare la situazione e rilasciare la propria dichiarazione in un luogo meno affollato.
«Invitiamo le forze dell’ordine a continuare a rispettare la delicatezza delle situazioni personali, comprendendo la difficoltà di chi si troverà costretto a confidare quello che è un dato sensibile in fase di controllo, magari per la prima volta nella vita – dichiara Alberto Nicolini, presidente di Arcigay Gioconda – Rimaniamo a disposizione di chi nella comunità LGBTI+ ha bisogno di delucidazioni prima di andare a visitare “il congiunto”. La nostra consulente legale rimane a disposizione gratuitamente per consulenze mirate su casi specifici e questo servizio resterà attivo in tutto questo periodo tramite i nostri canali social. Insieme sapremo trasformare queste limitazioni in un presupposto per il maggiore riconoscimento delle coppie e delle famiglie LGBTI».
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1 thought on “La fase 2 e la visita al “congiunto” di chi non ha fatto coming out”
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