Spii di continuo il profilo social del tuo ex? Per Jake Meyers, psicologo specializzato in psicoterapia affermativa LGBT, potrebbe essere un indizio di masochismo. Ammettiamolo, tutti abbiamo spiato almeno una volta il profilo del nostro ex dopo la rottura. Ma sì, ci diciamo, un’occhiata veloce, che male può farmi? E così, occhiata dopo occhiata, post dopo post, arriva il mattino e ci rendiamo conto di aver passato l’intera nottata a fare cyberstalking.
Ma perché lo facciamo? Cosa ci lascia? Molte volte proviamo ancora dei sentimenti nei confronti dell’ex e il fatto che la relazione sia finita per uno o mille motivi non ci fa arrendere nel voler riprovare. Ovviamente, in queste situazioni, i difetti che durante il rapporto mal tolleravamo e tutte le discussioni che ci hanno portato a troncare sembrano delle piccolezze. Ogni piccolo segno di tristezza o ripensamento ci fa sperare in un ritorno di fiamma. Quando ci accorgiamo, però, che in quella foto era triste perché il fattorino delle pizze era in ritardo, ci viene da piangere.
Altre volte è il contrario. Siamo così tanto rancorosi da sperare che la sua vita sia triste e sconsolata senza di noi, che si sia imbruttito e non lavi i capelli e che, soprattutto, non abbia ricominciato a vivere. Poi ti accorgi che sorride nelle foto, ha imparato a vestirsi decentemente e fa cene e aperitivi con gli amici, magari in compagnia della sua nuova fiamma. E noi a casa, con un bicchiere di vino in mano a roderci anima e fegato perché online si dimostra più spensierato di quello che speravamo e la sua vita sembra andare a gonfie vele, mentre noi raccogliamo ancora i cocci della relazione finita.
Talvolta ci spingiamo oltre, creando profili falsi con il solo scopo di spiare meglio ogni loro movimento, cercando di carpire, tramite le app di incontri, se sono propensi al sesso occasionale o se stanno tradendo il loro attuale partner così come hanno fatto con noi. Anche in questo caso, di fronte a un buco nell’acqua, ci assale la tristezza e il dolore.
C’è del masochismo in queste sgradevoli abitudini. Non riusciamo a ripartire, a creare una nuova vita e indaghiamo su quella degli ex pur sapendo che potrebbe sembrarci migliore della nostra. E soffriamo. Il dolore ci piace, però, ci fa sentire vivi e potrebbe diventare una piacevole abitudine. «A un certo livello siamo più a nostro agio nell’essere una vittima che sta soffrendo, perché è più facile che dover fare il lavoro per guarire e andare avanti in modo sano – rivela Meyers a Queerty – A volte può essere stranamente bello sentirsi arrabbiato, soprattutto perché se la rabbia sparisce, di solito ciò che rimane è tristezza e disperazione, che sono emozioni più difficili a cui soccombere».
Come fuggire a queste tentazioni? Come possiamo impedire alle nostre dita di cliccare sul disco luminoso di una sua storia Instagram che sembra essere stato ideato apposta per farci spiare la vita del nostro ex? Come evitare di cogliere il frutto proibito da quell’albero chiamato “profilo Facebook”? «Invece di indulgere in delizie masochistiche, potrebbe essere il momento di dare una lunga occhiata alla tua vita – dice Meyers – Invece di concentrarti su qualcun altro, usa tutta quell’energia per lavorare sul miglioramento di te stesso. Quanto più sei soddisfatto del tuo lavoro, felice del tuo stato di relazione, godi i tuoi amici e le tue attività, tanto meno ci sarà bisogno di guardarti indietro».
Facile a dirsi, un po’ meno a farsi. La vera domanda da farci è: quanto amo me stesso? Quando pratichiamo il cyberstalking «vogliamo confrontare, giudicare o avere un certo senso di controllo sul nostro stato emotivo, per sentirci meglio con noi stessi, persino nella tristezza». Quello che dobbiamo chiederci è: continuare a farmi del male mi sta aiutando? Sto veramente riprendendo in mano le redini della mia vita? La risposta, quasi sempre, sarà un no.
Essere consapevoli di stare per compiere l’ennesimo errore della nostra vita, però, è già un buon punto di partenza. Da lì sarà tutto più semplice. Certo, bloccare tutti i profili che vogliamo andare a spiare sarebbe un aiuto, ma non è bello barare. E poi, un’occhiatina, che male può farmi?
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