Immunindr: se l’app di contact tracing Immuni avesse lo stesso appeal di Grindr

La tanto attesa Fase 2 sta per arrivare e, una volta terminata la quarantena, dovremo prendere delle serie misure per evitare che la pandemia di Covid-19 ricominci a diffondersi nel nostro Paese, costringendoci in tal caso a un secondo e insperato lockdown.

Una di queste misure prende il nome di Immuni, un auspicio ma soprattutto un’app di contact tracing che, se sceglieremo di installare sui nostri smartphone, ci avvertirà nel caso in cui siamo entrati in contatto con una persona risultata poi posivita al nuovo Coronavirus. Proprio dietro quel “se” si nasconde però l’efficacia di questo importante mezzo di contrasto all’epidemia, in quanto sarà efficace solo se una grande maggioranza della popolazione deciderà di usarla.

Il timore più grande dietro a un’app di questo tipo è che possa mettere a rischio la nostra privacy, per cui l’opinione pubblica si sta polarizzando in due direzioni opposte. Le rassicurazioni del Governo sembrano non convincere proprio tutti, tra chi pone dei leciti dubbi in attesa che l’app venga rilasciata e chi si lascia abbindolare da complottismi e fake news.

Una questione di comunicazione

Luca Pari, programmatore ed esperto di comunicazione, ha deciso di lanciare una provocazione con un post Instagram in cui ha “reso più appetibile” Immuni all’utente medio. Lo stesso utente che si interroga sul trattamento dei dati di un’app utile per la propria salute, mentre sul proprio smartphone ha già installato svariate app più frivole, con le quali condivide la propria posizione o i propri dati anagrafici, senza essersi mai posto lo stesso problema.

Ecco allora che Immuni incontra Grindr e diventa Immunindr, oppure si fonde con Instagram diventando Immunigram, ci sono poi Immonify e YouImmune per gli amanti della musica in streaming. «Inutile che ci giriamo attorno – scrive Luca – Immuni non ha appeal perché la presentano male, non ha una bella icona e non ha un payoff coinvolgente, che crea community, che ti mette al centro. Ho pensato a diverse soluzioni. Tu quale preferisci?».

https://www.instagram.com/p/B_TCSmIFZKh/

Secondo Luca, sono due i fattori per cui l’app di contact tracing non è stata accolta con grande entusiasmo da tutti. «Il primo è la reale percezione dell’utilità – ci spiega – sento dire da molti: “va beh, i nonni non la useranno, i dubbiosi non la useranno, non la uso neanche io”. In aggiunta c’è una promozione con un appeal pari a zero».

Difficile stabilire perché, rispetto ad altre app, ci sia un altro metro di misura riguardo la propria privacy. «Credo semplicemente che le persone si debbano riconoscere in un gruppo, in una flotta, un’orda che segue una linea di pensiero – afferma Luca – E su Immuni, che tratterà (non si sa come) info sulla nostra salute, molti sono saliti sul carro del “viene violata la mia privacy” oppure “dove vengono salvati i miei dati?”. Quando sono le stesse persone che snobbano il funzionamento di Google, di Pokemon GO, di tutte le app del gruppo Facebook o di Spotify».

Alla nostra domanda su quali siano le strategie da adottare per promuovere Immuni, Pari risponde che occorre «Spiegare, in maniera analitica, tutto. Parlare, metterci la faccia, e fare sponsorizzate su tutti i possibili canali». Un’idea potrebbe essere quella di ricorrere alla “gamification”: «Raggiungere degli obiettivi potrebbe essere veramente stimolante per una popolazione che ha passato due mesi in casa».

Con il tempo che non è dalla nostra parte, occorre però che ognuno faccia il suo per un’efficace informazione. «Il web è in grado di veicolare messaggi subdoli o fake – avverte Luca – Ritengo sia un “dovere” veicolare la leicità e la bontà di un’app una volta che avremo tutte le informazioni sul funzionamento».

In qualche modo, bisognerà scendere a qualche compromesso per il bene della nostra salute e della collettività. È qualcosa a cui siamo (forse inconsapevolmente) abituati, come fa notare Pari, quando facciamo girare «una ricetta tra i server dell’USL regionali o un PDF con le analisi del sangue ad istituti che ci hanno fatto firmare un documento GDPR di una sola pagina».