Chelsea Manning è di nuovo una donna libera dopo che, in seguito a un tentato suicidio nella giornata di ieri, un giudice ha ordinato il suo rilascio. L’ex analista dell’intelligence statunitense, auto-dichiaratasi informatrice di WikiLeaks e ritenuta da molti un’eroina, era in carcere dallo scorso maggio, quando decise di non testimoniare di fronte al grand jury.
I guai di Chelsea Manning con la giustizia sono iniziati nel 2010, prima del suo coming out come transgender, quando un hacker la denunciò per il passaggio di documenti sulla guerra in Iraq all’attivista Julian Assange, tra cui il video di un attacco nel 2007 a Baghdad, in cui due elicotteri statunitensi uccisero 18 civili disarmati. Durante il processo, Manning affermerà di aver voluto denunciare l’esercito di non dare valore alla vita umana, paragonando i soldati americani a «un bambino che tortura le formiche con la lente d’ingrandimento».
Dopo due anni passati in custodia cautelare in condizioni disumane, il processo ebbe inizio nel 2012 e terminò un anno dopo con la condanna a 35 anni di reclusione in quanto ritenuta colpevole dei reati connessi alla diffusione di notizie coperte da segreto e al possesso di software non autorizzati.
Chelsea Manning fece coming out dopo la condanna, ma il suo percorso di transizione veniva ostacolato dall’esercito e tentò così il suicidio per due volte. Durante la prigionia, l’attivista spiegò delle difficoltà di accettazione della propria identità per via dei genitori anaffettivi e del bullismo a scuola, confidando di non aver saputo dare un nome a quella sua diversità.
«Sono fuggita mentalmente attraverso internet e il labirinto delle comunicazioni anonime – dichiarò a Cosmopolitan – Non so come tutto questo abbia plasmato la mia vita e chi sono, ma è stato un fattore che ha influito nelle decisioni che ho preso, anche quella di arruolarmi nell’esercito». Ma fu proprio durante la formazione militare che conobbe il suo primo amore, uno studente universitario a cui confidò la propria identità di genere.
Nel 2017, Barack Obama le concesse la grazia e fu il primo presidente a rivolgersi a lei usando il femminile. La libertà dell’ex analista terminò però lo scorso anno, quando un giudice la condannò a 18 mesi di reclusione per aver rifiutato di collaborare nel processo penale. «Preferisco morire di fame piuttosto che cambiare la mia opinione a questo proposito» commentò Chelsea, oggi libera perché la sua testimonianza davanti alla giuria non è più ritenuta necessaria.
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