Se il rispetto e le pari opportunità passano per il linguaggio, è importante affrontare al più presto la questione dei pronomi da usare quando ci si rivolge o ci si riferisce a persone di genere non-binario. Negli ultimi anni, grazie a battaglie come quella di Laura Boldrini sul linguaggio sessista, si sta molto discutendo su questioni riguardanti l’uso del femminile per le cariche pubbliche e alcune professioni contemplate come “maschili” fino a qualche anno fa. Ma, mentre negli USA, nel Regno Unito e in Germania il dibattito pubblico sul binarismo di genere è molto acceso, in Italia è pressoché assente.
Con binarismo di genere si intende la classificazione delle persone in due forme mutuamente esclusive: il genere femminile e quello maschile. Ciò rappresenta una frontiera sociale per tutti coloro che intendono compiere una transizione da un genere verso l’altro o, sempre più frequentemente, si identificano in entrambi i generi o in nessuno dei due, venendo così indicati come persone di genere non-binario, non-binary o genderqueer. Questo porta, in una società non ancora preparata in materia, a dubbi o errori linguistici quando ci si approccia a una persona o a un gruppo di persone di genere non-binario.
Il genere non-binario nella lingua italiana
La lingua italiana, come altre lingue straniere, contiene elementi linguistici come i pronomi, che sono declinabili al genere e al numero (mio/mia, suoi/sue, il quale/la quale, ecc.). Durante la comunicazione, utilizziamo il pronome maschile o femminile a seconda che l’interlocutore sia maschio o femmina. E nel caso delle persone non-binary?
La situazione si fa leggermente complessa. Occorre, come in un qualsiasi processo comunicativo, analizzare la situazione e, in base a essa, scegliere di utilizzare un registro formale o informale. In secondo luogo, è necessario distinguere il grado di affettività con l’interlocutore (in soldoni, se stiamo parlando con un nostro amico, un famigliare o un conoscente).
Se non sappiamo il genere della persona con cui ci interfacciamo o se non ci è dato saperlo, dobbiamo necessariamente utilizzare i pronomi indefiniti e i verbi impersonali. Anziché chiedere «ieri ti sei divertito?» o «ieri ti sei divertita?», chiederemo «ieri è stato divertente?», così da indicare qualcuno o qualcosa in modo generico ed evitare di urtare la sensibilità e di invadere la privacy altrui.
Come alternativa, soprattutto nelle comunicazioni scritte di tipo informale, c’è chi sceglie di troncare o sostituire la vocale che identifica il genere con un asterisco («ieri ti sei divertit*?») o con la più neutra “u” («ieri ti sei divertitu?»), che per certi tratti rievoca il dialetto salentino (che però lo utilizza esclusivamente per il maschile). Ci sono, inoltre, persone di genere non-binario che preferiscono alternare il maschile al femminile.
Se volete svincolarvi da questi dribbling linguistici, la cosa migliore da fare è quella di ascoltare il modo in cui il vostro interlocutore non-binario usa i pronomi per riferirsi a se stesso. Se ciò non è possibile e avete un buon grado di confidenza, potete sempre chiedere: se fatto con la giusta sensibilità, quella persona apprezzerà la vostra accortezza.
Il genere non-binario nelle altre lingue
In inglese i pronomi personali soggetto maschili e femminili sono “he” e “she”. In alternativa, si utilizza il pronome alla terza persona plurale “they” che, oltre al suo ovvio significato “loro”, ha anche una valenza al singolare, nel caso in cui non sappiamo il genere dell’interlocutore o ha espresso la propria preferenza per questa forma (come hanno fatto ad esempio Indya Moore e Sam Smith). Dunque la frase «they go to school» può riferirsi a un gruppo di persone che vanno a scuola oppure a una singola persona non-binaria. Altri pronomi, inventati successivamente e non riconosciuti ufficialmente in Gran Bretagna (un po’ come la nostra “u”), sono “ze”, “zir” e “zim” oppure “xe”, “xir” e “xim”. Nella forma scritta la situazione sembra farsi più semplice perché in inglese vi sono i così detti “English Honorifics” – vale a dire i titoli di Mr., Mrs., Ms. e Miss – riconosciuti dalla burocrazia britannica, a cui si aggiunge un quarto titolo neutro, Mx, riconosciuto parzialmente previa presentazione di una “Deed poll”, un documento legale britannico attraverso il quale è possibile cambiare nome ufficialmente.
Nella lingua spagnola, invece, alcuni blog transfemministi hanno proposto l’introduzione del pronome neutro “èlle” come un tentativo di identificare le persone non-binary e gruppi misti. Per la forma plurale si aggiunge semplicemente una “s” alla fine (“elles”). Questo pronome neutro non è ancora stato riconosciuto ufficialmente e la RAE, la Real Academia Española, rifiuta l’uso di questo pronome e di un linguaggio inclusivo, perché ritenuti non necessari. Nella forma scritta si tende, invece, a utilizzare la “@” o la lettera “X” a fine parola.
La lingua portoghese non presenta variazioni da quella spagnola e da quella inglese. Nella forma scritta sono presenti la “@”, la lettera “X” a fine parola e i titoli “Mx” o “Mt”. Nella forma orale, invece, alcune persone di genere queer preferiscono usare pronomi neutri o epiceni (promiscui), appunto per generalizzare il sesso biologico. Questi sono “ze”, “hir” ed “ey”. Altre, invece, preferiscono i tipici “ele”, al maschile, ed “ela”, al femminile.
Il tedesco sembra rivelarsi la lingua più complessa (strano, eh?). Sappiamo benissimo che la sintassi tedesca presenta i casi nominativo, genitivo, dativo e accusativo, e che si declina qualsiasi elemento all’interno della fase. La comunità queer ha ben pensato di creare pronomi a seconda del caso: “xier” è al caso nominativo; “xien” all’accusativo, “xiem” al dativo, “xies” per il genitivo e per la forma di cortesia. L’articolo associato al pronome “xier” è “dier”, un mix tra “die” femminile e “der” maschile. Vi sono anche pronomi sperimentali, “nin” e “seis”, scarsamente in uso.
Nella lingua francese si tende a utilizzare pronomi neutri quali “ille”, “iel” e “yel” oppure “ol”, ma il problema principale restano gli aggettivi, perché sono di genere. La Svezia ha tagliato invece la testa al toro già nel 2015, quando ha aggiunto nel dizionario della lingua svedese il pronome neutro “hen”, sia per identificare il non-binarismo di genere, sia per i gruppi misti. Rimarrete sorpresi nel sapere che una delle lingue naturalmente più inclusive è il persiano, che ha da sempre previsto il pronome neutro “u”, un vantaggio non di poco conto per i queer iraniani!
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sono brasiliano e dico che la giusta forma del pronome neutro in portoghese è “elu/delu” con terminazione “-e” e articolo “e/ê”
per esempio:
“elu é bonite. ê __ é muito bonite”
“bonite/bonita/bonito” significa “bello/bella” e “muito” significa “troppo”
non usiamo più “x” o “@” perché non è buono per la forma orale e per pernone che usano lettore di schermo (screen reader)