“Non contemplo paletti e muri, non mi accorgo della tonalità della carnagione o della scelta di amare un uomo o una donna.” Con queste semplici Marco Mengoni, racconta il suo mondo libero da costrizioni in un’intervista a Sette del Corriere della Sera.
Nell’intervista, condotta da Maria Luisa Agnese, il cantante analizza la situazione dei trentenni di ora, in continuo bilico tra l’era digitale e quella analogica, una generazione a cui anch’esso appartiene, sebbene si senta in qualche modo “privilegiato”, perché a 30 anni ha già dieci anni di carriera alle spalle.
“Quando avevo 16 anni me ne sono andato via da casa ed è iniziato il mio cambiamento, sono andato a cercare altro da quello che non mi dava più il mio paese di 8 mila anime – racconta il cantante – Mamma, mamma italica doc, si è messa a piangere, papà ha detto: ‘Se passi da quella porta devi mantenerti, io non ti darò niente’. Adesso lo ringrazio”.
La gavetta, seppur breve, infatti, l’ha formato e aiutato a combattere i mostri che lo perseguitavano, come il parlare in pubblico, mascherati da alimentazione compulsiva. “Mi vergognavo a fare tutto, anche a mettere una maglietta – dice Mengoni – Quel che mi ha aiutato molto è stato lavorare fuori 24 ore a contatto con il pubblico. Fare il cameriere è stata la prima forzatura”. Una forzatura che l’ha spinto ad analizzarsi e a farsi analizzare, fino a renderlo un uomo più forte di prima, pronto ad affrontare le sue paure e le sue insicurezze.
È un trentenne atipico, Marco, non dipendente dal cellulare e distante dall’ossessione dei social, tanto da circondare di estrema riservatezza le persone che gli sono a cuore, ma con un pensiero fluido di libertà ancora inesplorato dalla maggior parte dei millennials. “Sono aperto a tutto, sarò l’ultimo naif ma non vedo barriere, confini, per me la Terra non è di nessuno – sostiene il cantante – Siamo in una nuvola che ci sta traghettando in un pianeta di concretezza, che speriamo arriverà. C’è transizione su tutto”.
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