«Finalmente sono libero, ho la possibilità di avere la vita che prima mi è stata totalmente proibita». Queste le parole raccolte da Fanpage da Alessandro, cuoco astigiano di 30 anni, allontanato con la famiglia dalla congregazione dei Testimoni di Geova della sua città a causa del suo orientamento sessuale e della decisione di salvare la vita al padre.
La famiglia aveva aderito al culto già 22 anni fa, quando Alessandro era un bambino. «La mia infanzia è stata bruciata – racconta – non potevo andare a giocare a pallone con gli amici o festeggiare il compleanno dei miei compagni di classe». Col passare del tempo, però, la famiglia era diventata un elemento importante della comunità, tanto che il padre di Alessandro era diventato un “anziano”, ruolo di grande responsabilità nella congrega. Il giovane ragazzo passava il tempo libero a evangelizzare più persone possibili, privandosi di svaghi e passioni in favore del culto che lo accompagnava fin da piccolo.
A cambiare le carte in tavola un incidente che ha visto coinvolto il padre del giovane, che si occupa di manutenzione autostradale. L’uomo, con una grave emorragia, venne trasferito in ospedale, ma, seguendo le regole del movimento religioso, ai medici fu reso noto il rifiuto della trasfusione di sangue. La famiglia, dunque, decise di ricorrere a cure alternative che non ebbero successo, tanto che l’uomo rimase in coma per tre mesi. Davanti al bivio tra seguire la fede e salvare la vita al proprio caro, però, Alessandro e la madre presero la decisione di andare contro la congregazione e acconsentire alle trasfusioni che avrebbero migliorato la salute dell’uomo.
La notizia, arrivata alla Sala del Regno, il luogo in cui i Testimoni di Geova si riuniscono, di Asti, fece aprire un comitato giudiziario, una sorta di processo volto a punire le eventuali condotte sbagliate dei fedeli. A questo si aggiunse un altro “processo” in cui il giovane era chiamato a rispondere del suo orientamento sessuale di fronte all’intera comunità. Alessandro, infatti, attratto da un ragazzo, lo aveva confidato ad un amico che ha ben pensato di riferirlo agli “anziani” della comunità. «Quando ho ammesso di essere gay, gli anziani me ne hanno dette di tutti i colori – racconta Alessandro – hanno voluto sapere tutti i minimi particolari. Mi hanno persino fotografato mentre cenavo con un amico. Secondo loro, era la prova del mio peccato».
Una volta presa la decisione di non fare ammenda, la famiglia è stata emarginata dai parenti e dagli amici che vi aderivano, come spiega il 30enne: «La congregazione di Asti ci ha scritto una lettera in cui si dicevano disposti a riammetterci, naturalmente dopo aver compiuto il necessario pentimento. Ma sia io che i miei abbiamo rifiutato nel modo più assoluto. Da quando abbiamo abbandonato i Testimoni di Geova, la nostra vita è cambiata in meglio».
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