Le offese (omo)sessuali “d’altri tempi” sui muri dell’antica città di Pompei

Le offese a sfondo sessuale, principalmente rivolte a persone con un orientamento omosessuale, non sono appannaggio solo del nostro tempo. Già nel mondo romano erano abbastanza diffuse, come attestato nelle opere di molti autori latini.

Come non dimenticare i componimenti, spesso non inseriti nelle antologie scolastiche, di Catullo e Marziale dove compaiono tali termini o gli epiteti presenti nelle commedie di Plauto? Una testimonianza diretta proviene anche da iscrizioni e graffiti rinvenuti a Pompei, che costituisce una miniera inesauribile di conoscenze sulla vita quotidiana di una città romana nel I sec. d.C.

In un recente studio condotto dal prof. Alfredo Buonopane, docente dell’Università di Verona, sono stati censiti ben 73 “insulti” scritti sui muri della città, e dal corpus sono state espunte tutte le attestazioni riferite a sex-workers, che hanno portato lo studioso a domandarsi se questi fossero dei “semplici” insulti o uno dei primi casi accertati di bullismo omofobico.

Il termine più utilizzato, in ben 30 casi, è quello di cinaedus, ovvero effemminato, con il velato sottinteso di passivo. Segue l’ingiuria di fellator, colui che pratica sesso orale; spesso si riscontra anche l’utilizzo del verbo fello, riferito ad alcuni uomini che praticavano tale attività. Affine per significato il verbo lingo, generalmente utilizzato per il sesso eterosessuale ma, accostato a mentula (la denominazione più corsiva e triviale dell’organo genitale maschile) non pone dubbi sul riferimento omosessuale! Raro l’utilizzo del verbo pedico, indicante il sesso anale.

In una sola iscrizione potrebbe ravvisarsi un caso di omofobia al femminile: una certa Meroe viene definita fututrix, la pertinenza di tale aggettivo all’atto sessuale tra donne non è però accolto in modo unanime.

Lo studio onomastico permette inoltre di appurare che gli insulti erano riferiti a persone appartenenti alle diverse classi sociali, da servi a liberti, da stranieri a persone inserite nella vita politica della città; anzi proprio in questi casi si può notare come tale utilizzo rientrasse in una forma di discredito verso uomini che si candidavano ad ottenere incarichi pubblici.

Nelle conclusioni dunque l’autore esclude l’esistenza di un vero e proprio bullismo omofobico in questi documenti che sono più da inserire in una forma di forte violenza verbale volta a screditare e ridicolizzare persone ed individui in qualche modo “nemici”. Il bullismo omofobico si conferma quindi come fenomeno tipico dell’età contemporanea.

 

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