Alla fine ha prevalso il buon senso; la figlia delle due mamme veneziane, a cui era stato negato il documento d’identità, ne avrà uno come tutti i suoi coetanei, nonostante la direttiva ministeriale
voluta da Matteo Salvini che impone la specifica delle voci “padre” e “madre”.
Solo pochi giorni fa era emerso alle cronache questo controverso caso: alla bambina di una famiglia arcobaleno non veniva rilasciato il documento da parte del Municipio di Favaro Veneto, poiché sul nuovo documento una delle due mamme avrebbe dovuto firmare accanto alla voce “padre”.
Sebbene gli impiegati dell’Anagrafe si siano dimostrati collaborativi, inizialmente il documento perché non poteva essere rilasciato perché non era chiaro come comportarsi senza commettere errori. Alla fine è stata trovata una soluzione, alla piccola è stato rilasciato un documento cartaceo – dove ancora compare la voce “genitore o chi ne fa le veci” – anziché la nuova carta digitale. Questo è consentito dalla legge per “gravi motivi”, quindi anche in questo poiché non è previsto il caso di due genitori dello stesso sesso.
Una sconfitta per la battaglia ideologica del vicepremier leghista, che si somma ad altri casi, come ad esempio l’atto di nascita con due mamme di un bambino di Bari, bloccato dal Viminale ma poi concesso dal Tribunale. È notizia di oggi quella di un bambino di Rovereto, figlio di una coppia lesbica, che è riuscito a ottenere il documento d’identità dopo 7 mesi di attesa.
La direttiva di Salvini, propaganda per i suoi elettori e sfregio burocratico per le persone LGBT+, si dimostra ancora una volta inutile. Per il capitano sarebbe giunta l’ora di rinunciare a questa battaglia persa in partenza, ovvero quella contro una realtà del nostro Paese: le famiglie arcobaleno.
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