La corsa all’abisso, Dominique Fernandez. Edizioni La Colonnese 2005
Lontano dagli stereotipi edulcorati delle fiction televisive, le vicende di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, vengono qui narrate nella loro cupa carnalità sanguigna. Seguendo un andamento circolare il romanzo si apre con la stessa voce del pittore che dichiara: Il mio corpo non è mai stato ritrovato. Gettato in mare? Bruciato sulla spiaggia? […] mi ritengo fortunato di non avere né tomba né pietra sepolcrale.
Dopo quest’incipit Michelangelo inizia a narrare la sua biografia, in ordine cronologico dall’infanzia nella piccola Caravaggio, in Lombardia; qui inizia i suoi abbozzi pittorici guardando le incisioni tratte dai principali quadri delle diverse scuole italiane: Giotto, il Beato Angelico, Andrea Mantegna… opere in cui si mescolano, nella mente dell’adolescente, sesso, sangue e sacralità.
Giunto a Milano, a fare apprendistato in una bottega pittorica, le vicende personali, con l’iniziazione sessuale dapprima con Caterina, poi con Matteo, si incatenano con le prime produzioni pittoriche, in un indissolubile connubio tra genio e sregolatezza, come già aveva riportato Derek Jarman nel film dedicato al pittore del 1986, seguendo il racconto della sua vita che si dipana in varie città, soprattutto nella Roma papalina, al servizio di uomini potenti.
Benché molto denso nella prosa, con puntuali riferimenti a nomi, luoghi ed avvenimenti storici, il romanzo scorre velocemente sino, appunto, all’orlo dell’abisso in cui Michelangelo, a soli 38 anni, giunge nell’estate del 1610 sotto il pontificato di Paolo V. Dopo avere tracciato la storia di molti suoi quadri, con puttane che prestano il loro volto a Madonne e giovani amanti che si tramutano in beffardi angioletti alati, la storia volge al suo ineluttabile epilogo, sulla spiaggia di Porto Ercole, in una resa dei conti con due uomini della sua vita: Mario e Gregorio, in qualche modo artefici della sua fine.
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