Nell’immaginario collettivo, il chemsex (l’uso di droghe per “migliorare” il rapporto sessuale) è legato a darkroom e ambienti alternativi degli Stati Uniti o, al più, a ville di ricchi ereditieri con la carta oro. La realtà è che, ormai, ha raggiunto anche le case di normalissimi signori qualunque in Italia.
A Milano, quindi, si è deciso di dar via al primo servizio di terapia di gruppo per gli utilizzatori di chemsex, una sorta di rehab portata avanti da una psicoterapeuta da anni esperta della città underground, insieme a un chimico farmaceutico, un laureato con le competenze adatte a spiegare cosa sono e cosa fanno le “droghe del sesso”.
A gestire questo “centro di recupero” è l’onlus ASA, Associazione Solidarietà AIDS, che ha notato che fra gli utenti che si sottoponevano ai test HIV uno su 10 ricorreva al chemsex durante i suoi rapporti sessuali, percentuale che saliva vertiginosamente tra gli utilizzatori della PrEP, trattamento farmacologico preventivo utilizzato per evitare l’infezione da HIV in soggetti ad alto rischio di contagio. Statisticamente, inoltre, i MSM (maschi che fanno sesso con altri maschi) risultano più coinvolti nel fenomeno, rispetto agli individui eterosessuali sia uomini che donne. Negli ultimi anni le sostanze più utilizzate sembra siano MDMA, popper, ketamina e GHB, spesso accompagnati da cannabis e alcool.
«Il rischio di sviluppare dipendenza è altissimo, e c’è anche una resistenza a prenderne atto» – dice all’AdnKronos Salute Alessandra Bianchi, psicologa e psicoterapeuta da 10 anni in forze ad Asa. «Un paio di anni fa si era anche tentato di mappare i servizi che si occupassero di chemsex e non c’era niente, adesso qualche Sert fa qualcosa. La fatica è che il modello classico delle tossicodipendenze non sempre funziona».
«Le sostanze sono di per sé piacevoli e il sesso sotto effetto di stupefacenti dà emozioni altissime sennò non funzionerebbe, ma c’è un dopo con cui fare i conti – osserva la Bianchi – per ognuno c’è una sfumatura, una molla diversa. C’è chi pensa di rendersi appetibile agli occhi degli altri ostentando soldi e investendoli in droghe e festini, come quando da bambino hai le caramelle e tutti vengono a giocare con te. C’è una sensazione di onnipotenza, un’amplificazione di certe situazioni vissute come positive. C’è chi pensa di non essere desiderato da nessuno e che fare chemsex possa aiutare, chi ha paura di una relazione, chi lo fa per gratificarsi».
«Noi che siamo un’associazione focalizzata su Hiv-Aids ce ne occupiamo perché, anche fra le persone tendenzialmente attente, l’uso del condom cala drasticamente quando si ricorre a sostanze durante i rapporti, con tutti i rischi che ne conseguono» – sentenzia poi la psicoterapeuta.
Uscirne è difficile, soprattutto perché in pochi chiedono aiuto vedendo il chemsex come una trasgressione e non come una vera e propria dipendenza che può portare a crolli emotivi e fisici anche estremi, ma è necessario, in quanto lo spettro dell’overdose non è così lontano; negli Stati Uniti, infatti, sono già state segnalate diverse morti per overdose da chemsex, causate in gran parte dal Fentanyl, oppioide sintetico usato per tagliare queste sostanze stimolanti e in Italia, nel 2018 è stato accettato il primo caso di overdose da questa sostanza.
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