Sono passati due anni da quando una coppia di ragazze venete partì per il nord Europa per realizzare il sogno di allargare la propria famiglia. Una delle due si sottopose alla fecondazione medicalmente assistita da donatore anonimo, così da tornare nella natia Mestre per godersi una gravidanza di pura gioia.
Una volta nato il bimbo, le due donne, come tutti i buoni genitori, si sono rivolte all’Ufficio anagrafe del Comune per chiedere l’indicazione di entrambe nell’atto di nascita, ma l’ufficiale di stato civile si è rifiutato di registrare il bambino anche con il cognome della compagna che non risultava essere genitore biologico.
La coppia non si è data per vinta e ha presentato ricorso in Tribunale per non arrendersi al concentrato di omofobia dell’alfiere (pro tempore) del nord patriarcale: il sindaco di Venezia Brugnaro per cui spese parole di fuoco anche Elton John.
Il coraggio delle toghe lagunari
I giudici veneziani, posti di fronte al caso, hanno deciso di rimettere la questione nelle mani della Corte costituzionale poiché, a loro parere, la legge sulle unioni civili e il decreto del Presidente della Repubblica che disciplina l’ordinamento di stato civile non «realizza il diritto fondamentale alla genitorialità dell’individuo», così come individuabile nell’articolo 2 della Costituzione.
In particolar modo, negare quanto chiedono le due mamme determinerebbe una «violazione dell’articolo 3 della Costituzione che assegna alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale, qual è lo stigma tradizionalmente subito dagli omosessuali, al pieno sviluppo della loro personalità». Ciò genererebbe una disparità ai danni del bambino, visto che «il rispetto del principio di uguaglianza impone che egli non sia discriminato dalla Legge e dunque sotto-tutelato sul piano sia morale che materiale in considerazione delle caratteristiche della relazione tra i genitori, e in particolare se questa sia omosessuale».
Dato che dall’entrata in vigore della “legge Cirinnà” fino alla fine del 2017 sono state più di 6000 le coppie che hanno celebrato la loro unione, i giudici arrivano a dire che «il matrimonio non costituisce più il discrimine nei rapporti tra genitori e figli», e, rimandando alle norme internazionali, che questi ultimi «devono godere della medesima tutela indipendentemente dalla forma del legame tra coloro che ne assumono la genitorialità».
Le speranze (non) riposte nella Corte
Viviamo un presente nel quale il Parlamento non garantisce alcun progresso in tema di diritti civili attraverso la legislazione e pertanto non si può che riporre ogni speranza nella giurisprudenza delle Corti.
Ma chi sarà chiamato a decidere su questo caso? 15 giudici che compongono la Corte costituzionale: per un terzo eletti dal Parlamento in seduta comune, per un terzo dalle supreme magistrature e per un terzo scelti dal Presidente della Repubblica.
Tra questi figura da poco Luca Antonini, così vicino alla Lega da essere stato (proprio davanti alla Corte!) il difensore delle istanze NO VAX della Regione Veneto. Evidenti sembrano i convincimenti di Nicolò Zanon, il cui passato giovanile nella destra non è mai stato celato. Da diversi anni è in Corte anche Giulio Prosperetti, voluto dagli alfaniani in quanto giurista proveniente da famiglia di strettissima osservanza della destra democristiana. E infine la Vicepresidente Marta Cartabia: in molti la danno già prima donna Presidente della Corte una volta che sarà terminato il mandato dell’attuale; ancora è vivo il ricordo della lettera aperta del settimanale cattolico “Tempi” per innalzarla ad argine delle unioni civili proprio per la vicinanza della Cartabia con Comunione e Liberazione.
La fiducia della Cirinnà
«La Corte costituzionale è e resta il presidio fondamentale per la garanzia della Costituzione e dei diritti in questo Paese e ad essa è dovuto il nostro rispetto e la nostra massima deferenza. La Corte ha dimostrato, lunga tutta la sua storia, di saper interpretare il proprio ruolo con equilibrio e lungimiranza, portando avanti le lancette della storia di questo Paese: penso, solo per fare un esempio, alla sentenza n. 138/2010 in materia di unioni omosessuali», dice Monica Cirinnà – relatrice della legge sulle unioni civili approvata nella scorsa legislatura.
«I giudici e le giudici della Corte sono scelti per la loro riconosciuta competenza e autorevolezza, e ho la massima fiducia che la Corte si pronuncerà avendo come unico faro la nostra meravigliosa Costituzione. Non esiste potere che possa mettersi al di sopra della nostra Carta fondamentale, e questo vale anche per il governo gialloverde, che quasi quotidianamente dimostra di non avere la minima considerazione per le garanzie che la Costituzione pone come limiti al potere della maggioranza».
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