Un penitenziario nel Regno Unito avrà un’ala dedicata alle persone transgender

È notizia di queste ultime ore che nel penitenziario di Downview, nella località di Sutton, a sud di Londra in Gran Bretagna, un’ala della prigione sarà dedicata a detenut* transgender. Sarà, dunque, un vero e proprio carcere dentro al carcere, separato dal resto dell’edificio da una rete metallica.

Il giornale Times, che ha divulgato per primo la notizia, sottolinea come si tratti del primo caso europeo, mentre negli Stati Uniti ne esistano già alcune. Per quanto riguarda l’Italia, si è recentemente considerato di far partire un progetto simile, senza che l’idea si sia poi concretizzata, come riportato da Gay.it.

Questo trasferimento in una ala differente del penitenziario, che al momento sarebbe meglio chiamare esperimento, in quanto saranno i prossimi mesi a far capire quanto una misura del genere possa essere funzionale, nasce dall’esigenza di gestire una situazione complessa e di garantire la sicurezza delle persone transgender detenute.

Come afferma Andrea Albutt, presidente della Prison Governors Association, una manovra del genere sarebbe necessaria per proteggere le persone trangender detenute dagli altri carcerati, e viceversa, soprattutto a fronte dei numerosi incidenti verificatisi negli ultimi anni sul territorio britannico in cui non solo le persone transgender sono state vittime ma, in alcuni casi, anche carnefici. Ne troviamo un esempio nella storia di Karen White, una donna transgender che, condannata a scontare una pena per abusi sessuali su minori, ha aggredito sessualmente due detenute.

Episodi del genere non possono che spingerci a riflettere sulla complessità della questione nella sua generalità, non solo per quanto riguarda l’Inghilterra o gli Stati Uniti, ma anche per il nostro Paese, dove molto spesso a fare fede è il sesso biologico sulla carta d’identità e detenute che, nate biologicamente uomo, si riconoscono nel genere femminile sono costrette a scontare la loro pena detentiva in carceri maschili, o nel caso di uomini transgender in penitenziari femminili.

Elevatissimi i casi di violenza che hanno messo in luce come la condizione di disforia di genere sia spesso priva di considerazione. Pensiamo a Sarah Hudson, donna transessuale arrestata per aggressione, che fu condotta in un carcere maschile, dove sin dai primi momenti si trovò a dover fronteggiare battutine, molestie verbali e richieste di mostrare i seni da parte dei detenuti, fino al trasferimento avvenuto a seguito del successo mediatico di una petizione fatta partire dalla madre.

Ancor più grave e tragica è la storia di Vicky Thompson che, vittima di abusi in carcere, si tolse la vita iniettandosi della candeggina dopo aver tentato di rimuoversi lo scroto, a soli 21 anni.

Posto che, come dice anche la stessa Hudson, rinchiudere una donna trans in un penitenziario maschile è una pena crudele e disumana, è il caso di domandarsi se, proprio in virtù di questa richiesta di una maggiore sensibilità e consapevolezza sull’argomento per smettere di essere ‘’invisibili’’ di fronte agli altri e di fronte alla legge, una misura come quella di istituire carceri separate, impedendo a donne transgender di scontare la loro pena con altre donne, possa essere vissuta come una ghettizzazione dalla comunità trans, o sia una effettiva necessità, tenendo conto che nelle carceri femminili è più alto il tasso di episodi di violenza tra donne cisgender.

Daniele Sorbo Filosa

 

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