«Il meglio che un uomo può essere»: Gillette rade al suolo il machismo

Si fa sempre un gran parlare dei modelli veicolati dai media, di quanto questi possano influenzare la società e via discorrendo. In realtà comunicazione e società sono legati a doppio filo: generalmente lo sviluppo di una campagna pubblicitaria (o in generale di comunicazione) parte da un processo di ricerca per indagare le opinioni del consumatore. Non esiste sviluppo di un prodotto o di una campagna che non indaghi quali siano le inclinazioni dei soggetti a cui tale campagna è rivolta.

Qualcuno forse ricorda il caso di Guido Barilla che dichiarò di non fare pasta per gli omosessuali e che una famiglia arcobaleno non l’avrebbe mai messa in un suo spot. Tralasciando le sue scuse ed il valore etico/morale di quanto detto: Barilla e Mulino Bianco hanno un target di consumatori terribilmente vasto; vi rientra la famiglia culturalmente edotta ma anche soggetti un po’ più bigotti che avrebbero potuto sviluppare un certo fastidio nei confronti del marchio. Si sa, buona parte della nostra società ancora non vede di buon occhio le famiglie arcobaleno e tantomeno una coppia di omosessuali. Ma alcune volte le aziende possono scegliere di avere un ruolo attivo, un ruolo che prescinde dal comunicare al consumatore quello che esso vuole sentirsi dire.

Il concetto in realtà è particolarmente ampio, rientra tutto in quel filone denominato “Responsabilità Sociale d’impresa”. Ovvero l’impresa si muove come attore in un contesto sociale, in maniera consapevole dell’impatto sul mercato e sulla vita della comunità in cui opera. Esempi sono: Pan di Stelle che crea pozzi in Africa, aziende che acquistano materie prime da territori dove i lavoratori hanno determinati diritti; vi rientrano anche imprese che finanziano il restauro di monumenti e tutti quei finanziamenti a cause di beneficenza e solidarietà. Dal punto di vista comunicativo queste hanno un forte impatto. Andrebbero fatte specifiche sull’inclinazione del target dell’impresa a certe attività o su altre ragioni che potrebbero spingere le aziende a sviluppare tali campagne, ma non è questa la sede.

Il caso specifico è quello di Gillette: nello spot ci vengono mostrati una serie di comportamenti tipici del maschio alfa. Dai papà che guardano i bambini che fanno a botte, agli apprezzamenti per strada rivolti alla malcapitata passante, fino ad arrivare a mostrare la registrazione di un programma tv in cui si umilia una donna. Le situazioni però svoltano: abbiamo altri uomini che mettono fine a queste situazioni sessiste; c’è un momento fondamentale in cui il figlio guarda il papà mettere fine ad un atto di bullismo. Eccolo il messaggio più importante: l’esempio. I futuri uomini che rispetteranno le donne e tutti gli altri individui attorno, sono quei bambini che oggi possono guardare a degli esempi positivi. Il claim di Gillet è sempre stato “Il meglio di un uomo” in questo spot cambia e diventa “Il meglio che un uomo può essere”. Può essere: tutti possiamo, non esistono uomini che nascono “sbagliati” e che di default hanno il gene che li obbliga a maltrattare una donna o altri. “Possiamo” implica il poter cambiare, il poter imparare. Le critiche dei consumatori che si sentono criminalizzati lasciano il tempo che trovano. Forse più che criminalizzati si sentono colpevoli, hanno la coda di paglia. Uno spot di tale genuinità, e con un messaggio così dirompente, non può far sentir nessuno colpevole. Davanti a ciò si può solo applaudire Gillet.

Da una pubblicità Gillette degli anni ’90

Spesso noi omosessuali ci troviamo a lottare contro lo stereotipo del maschio alfa, l’uomo con le movenze da meccanico sporco di grasso, del muratore forzuto e altre fantastiche immagini che trasudano testosterone. Molti di noi temono di essere etichettati come effemminati, checche, soggetti poco mascolini: in fondo siamo schiavi di un certo modello di uomo, schiavi dell’idea che se uno è omosessuale così uomo non lo è; senza dimenticare che il passivo che viene penetrato è ancora meno uomo dell’omosessuale attivo. Non sottovalutiamo l’impatto che certi tipi di comunicazione possono avere nel nostro “mondo”. A volte facciamo tanto gli alternativi ma di fondo siamo più bigotti dei bigotti che tanto odiamo. A volte quella piccola scintilla che fa cambiare idea, che fa fare il piccolo salto di qualità può anche partire da qui, da una pubblicità.

Fabrizio Procopio

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *