Carmen Consoli: «Sono per la famiglia tradizionale. Così è nato Carlo»

«Un figlio è meglio farlo con un marito ed è meglio dare a un bambino una famiglia, anche omogenitoriale, anche se io sono per la famiglia tradizionale». Questo il pensiero di Carmen Consoli – da 5 anni mamma del piccolo Carlo, concepito a Londra tramite fecondazione assistita – espresso in una recente intervista al settimanale 7 del Corriere della Sera.

Come si spiega allora una simile scelta, di certo in controtendenza con l’idea di “famiglia tradizionale”? La voglia di allargare il nucleo familiare, dopo la scomparsa dell’amato papà Giuseppe, e l’essersi ritrovata ancora single a 38 anni, «un’età biologica avanzata. Mi trovavo sola con mia madre, dopo la morte di papà; a Natale, alle Maldive con lei, pensavo alle case, le terre ereditate: eravamo sole, va allargata la famiglia, penso». Ma non a scapito della felicità altrui, ragion per cui ha preferito affidarsi direttamente alla scienza anziché intraprendere una relazione di facciata destinata a sgretolarsi in poco tempo: «Per fare un figlio avrei potuto trovare un uomo più giovane di me, un fan, un toy boy. [..] Ma non volevo illudere nessuno, né dare a mio figlio una famiglia che si sarebbe sfasciata».

A domanda diretta, la cantautrice catanese ha comunque voluto precisare che – nonostante la motivazione fornita in precedenza – il suo desiderio di maternità non è una decisione egoistica dettata dal timore d’invecchiare in solitudine: «In Inghilterra il governo ti mette uno psichiatra che stabilisce se tu, madre single o in coppia etero o omo, sei idonea. Ti chiedono se lo fai come antidoto alla solitudine, se è compatibile con il tuo lavoro… Non vanno bene le donne troppo in carriera. Anche fare l’artista li frenava, con me, a chi lo lasci? Ma poi hanno capito che avevo persone fidate come punti di riferimento e non volevo fare una copia di me, non era narcisismo».

La scelta di recarsi in Inghilterra è stata anche motivata dal fatto che a Londra è possibile sottoporsi a fecondazione assistita con donatore non anonimo, così il figlio «potrà sapere chi è il padre, se vorrà». Uno scenario molto diverso da quello italiano che, a detta della Consoli, è ancora troppo arretrato, non solo per le notevoli limitazioni legali, ma innanzitutto a livello culturale e sociale: «È un percorso molto delicato. Non puoi arrivarci con la superficialità nostra. […] A noi mancano le basi sociali e culturali, oggi il livello vitale è bassissimo, siamo insultati dai nostri stessi governanti».

Su altre tematiche Carmen Consoli si trova invece in sintonia con alcuni esponenti leghisti di spicco, come il governatore del Veneto Luca Zaia – elogiato per la «seria campagna informativa» fatta sui vaccini – e lo stesso Matteo Salvini, di cui approva l’idea di riaprire le case chiuse, per ragioni igienico-sanitarie, ma non solo: «Sarebbe sul piano sanitario meglio. San Berillo, dove vivo, è un quartiere storico di Catania di prostitute e travestiti, con i loro usi e costumi. […] Il problema è che all’80% qui hanno epatite, HIV… Con i controlli obbligatori sarebbe meglio. È un lavoro che c’è da sempre, nasconderlo è ipocrita, poco igienico e favorisce la mafia, lo sfruttamento. Strano che venga dalla destra l’idea delle case chiuse. Ma sono le tematiche che fanno prendere voti. In Italia i “buttani” ti fanno prendere i voti».

 

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