«Gesù mi ha guarito»: la società invece? Omosessualità e stigma sociale
È di poco tempo fa il video su cui voglio riflettere. Un ragazzo di 20 anni davanti ad una platea osannante che urla; cosa urla? Che Dio lo ha liberato dall’omosessualità. In un’intervista alle Iene, il liberato, specifica che poi così liberato non è, semplicemente è un transizione. Ha chiesto a Gesù di essere liberato da ciò che lui non sentiva di essere, il misericordioso figlio del Grande Capo ha accolto la sua richiesta e ci sta lavorando su. Va specificato che la chiesa a cui il giovane appartiene non è quella cattolica, ma per quello che andrò a dire questo rileva poco. In questa magica storia di preghiere e miracolose guarigioni, non va trascurato che ad aver preso parte alle suppliche verso l’onnipotente abbiamo la madre del ragazzo. Donna che definiva il figlio omosessuale come “sbagliato” e che quindi si prodigava a implorare l’intervento dell’altissimo.
In un primo momento guardando il video, non vi nascondo che ho abbondantemente riso. Per il mio background culturale e per la mie ideologie politiche, pensare che un ragazzo facesse quello show mi ha fatto ridere. Sono stato terribilmente superficiale. Siamo di fronte a qualcosa più grande di un semplice ventenne che dice di essere guarito. Appare ovvio che il problema è della società in genere, il problema è culturale.
Nei commenti sotto il video, pubblicato da più persone, si leggono cose tipo: “Ma quale etero se si vede che è gay” oppure “Si certo guarito. Basta sentire la voce e come si muove”. Beh pensieri leciti, stereotipi, cose che vengono facili da pensare; cose che non vanno da nessuna parte però. Fermiamoci e riflettiamo.
Il ragazzo nell’intervista rilasciata alle Iene affermava che da omosessuale non se lo filava nessuno, non si sentiva voluto. Molti hanno preso la palla al balzo sostenendo: “Questo non se lo cagava nessuno e quindi ora ripudia il mondo gay e ci prova con le donne”. Come se da domani le donne fossero più misericordiose degli uomini o come se l’attrazione tra due persone cambi in base all’orientamento sessuale. Anche qui considerazioni sterili.
Non dimentichiamo che siamo il paese cattolico per eccellenza. Qualunque cosa si dica, la chiesa cattolica ha parte delle colpe in merito allo stigma sociale che si ha nei confronti degli omosessuali. Essendo quella cattolica la nostra cultura dominante, anche l’ateo più convinto subisce indirettamente l’influenza della morale cattolica nel suo agire. Se guardiamo alle forze politiche, sono poche quelle favorevoli (seriamente) alle politiche Lgbt; e cosa sono le forze politiche se non espressione della società? Abbiamo una delle forze di governo in cui il ministro della famiglia crede all’ideologie Gender, così come il presidente della Rai che è espressione dell’intera maggioranza di governo. Sentiamo parlare ancora di “famiglia tradizionale”, sentiamo ancora dire “se vogliono quelle cose le facciano a casa loro” e ancora “le Unioni Civili sono un abominio”. Le forze politiche che si sono battute per le Unioni Civili sono minoritarie, teniamolo a mente; ed oggi più che mai paiono sul punto di morire. Nelle scuole pensate sia diverso? Si fa educazione di genere? Si fa educazione sessuale? Io ricordo ancora di avere avuto un professore, che entrando in classe faceva il saluto romano. Ovvio mai fare di un’erba un fascio: esiste una parte di società buona, liberale e progredita; ahimè mi pare in minoranza.
Dato il contesto di cui ho appena parlato: pensate ancora che sia così assurdo che un ragazzo voglia essere “normale”? Pensate che sia così sconvolgente qualcuno che voglia scappare dallo stigma sociale? Ora non mi fa più ridere. Non tutti hanno la forza di affrontare una società che, per quanto diversa dal passato, fa paura e lo farà ancora.
Leggi anche:
-
La classifica dei Paesi UE più inclusivi per i professionisti LGBTQ+: tanta strada da fare per l’Italia
-
L’ex ministro Spadafora fa coming out in diretta: «Sarò più libero»
-
Il Senato ha affossato il ddl Zan: addio a una legge attesa da 25 anni
-
Papa Francesco e il “pericolo” delle persone transgender
-
“Professione transgender”: l’incontenibile transfobia del giornalismo italiano